GIOVEDI 26 MARZO …

Processi

Dal Vangelo secondo Giovanni

… Il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato.
Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita…

Il Vangelo di oggi è lungo, è un lungo processo estenuante nei confronti di Gesù, accusato di essere un bestemmiatore, perché guariva di sabato, ma il sabato non si poteva! Si può ricominciare a vedere solo dalla domenica al venerdì, il sabato è vietato ridare la vista ai ciechi! Poi Gesù risponde che il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato. Ma  purché? Motivo molto semplice: Gesù per mettere al centro il Padre dei cieli ri-metteva al centro i figli di terra. Eh già, non puoi parlare di Dio se non parli di uomini. Non puoi amare il Padre se non ami i suoi figli, ossia, quelli che tu rendi tuoi fratelli. 

Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi

Semplice ma non facile!

La vita di chi dice di essere cristiano (tremo!) – e lasciamo da parte i farisei per parlare di noi – consiste solo in questa cosa: “FARE …IN MEMORIA DI LUI!” … “ma la sua parola non rimane in voi”, ci direbbe Gesù. 

E noi, sinceramente, dovremmo rispondere: “mi sa che hai ragione”.

Oh, non buttiamoci giù, siamo già abbastanza a terra e le nostre ruote sono sgonfie. C’è una possibilità: invertire la tendenza per dare nuove forme alla nostra vita. E se ricominciassimo ad “andare da Gesù per avere vita”, ossia, ogni volta che DIALOGHIAMO con la sua Parola ci domandassimo: “cosa mi stai dicendo per avere vita, oggi, con le persone che vivono con me?”? … forse qualche risposta nuova potrebbe aprire nuove strade. Forse capiremmo che prima di fare il processo al Figlio di Dio, gentilmente messo “fuori porta” per essere “richiamato in causa” adesso, quando tutto ci è sfuggito di mano, dovremmo chiederci: “ma io dove mi trovo? Sto camminando? Esco da me per incontrare? So riconoscere nel legame con Dio quella sorgente che ha  gli occhi, le mani e la voce di Gesù?”

Buon cammino, c’è strada! 

Ancora futuro. 

Un abbraccio. 

Per riflettere… 

  • Io dove mi trovo? 
  • Sto camminando? 
  • Esco da me per incontrare? 
  • So riconoscere nel legame con Dio quella sorgente che ha  gli occhi, le mani e la voce di Gesù?

MERCOLEDI 25 MARZO …

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Un pensiero:

Ed eccoci arrivati a metà settimana, buongiorno e buona giornata a tutti! 

Oggi è la festa dell’Annunciazione,  la buona notizia che il Figlio di Dio ha trovato una casa dove crescere, un grembo materno caloroso e accogliente che lo ha portato con sé facendosi portare, e lo ha messo al mondo: Maria!

É la storia del legame con Dio, che si avvera. La storia di ogni vita  (di ognuno di noi) che abbia l’umile desiderio di definirsi “cristiana”, rimanendo e diventando sempre più “umana”. 

Pensavo al fatto che tutto nasca da una Parola. La Parola di Dio che si incontra con la parola di una donna. 

Noi diciamo che la Parola di Dio va ASCOLTATA. Oggi invece, Maria ci dice di più:  la Parola di Dio non va solo ascoltata, va DIALOGATA, ossia mediata, accolta e vissuta nelle mie parole. Perchè con quella Parola, il mio essere una parola nel mondo – ossia una comunicazione per altri – io diventi sempre più e in verità me stesso. Io sono chiamato a diventare me stesso, non altri da me. Nella mia unicità sono chiamato a “fiorire”, non nel confronto ostile e competitivo con gli altri, fossero pure dei santi. 

Penso al dialogo di Maria e penso a una lettera, come quelle che si scrivevano una volta e si mandavano a qualche destinatario: qualcuno me la spedisce. Occorre aprirla. Dopo averla aperta occorre leggerla. Dopo averla letta occorre rispondere. Dopo avere risposto occorre imbustarla e spedirla. E la lettera crea un movimento, fa nascere qualcosa, dà vita a parole che prima ancora non esistevano.  Sono io quella parola. Parola che è nata dall’incontro con un’altra che l’ha preceduta.

L’organo del concepimento di Maria sono le sue orecchie. Gesù è nato da un dialogo con un Angelo che è diventata disponibilità di cammino. 

Ho riportato l’immagine della stupenda Annunciazione di Simone Martini. Il pittore lo aveva capito. Aveva quasi disegnato un fumetto: quella parola entra dalle orecchie della Madre di Dio in ascolto. Un fumetto ante litteram, che raggiunge anche noi. 

Ora, la Parola viene consegnata alle nostre orecchie, alle nostre mani, alla nostra vita. 

Ogni giorno. 

Un abbraccio a tutti! 

Per riflettere: 

  • Mettendomi in dialogo col Vangelo: cosa rispondo? Dove mi sento interpellato? 
  • Che tipo di attenzione rivolgo al Vangelo? 

MARTEDI 24 MARZO …

COLPA DI UN ALTRO … 

Dal Vangelo secondo Giovanni

Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina”». Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo.
Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell’uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato.

Un pensiero … 

Buongiorno di tutto cuore!

Mi incuriosiscono due espressioni del Vangelo di oggi, cercherò di comunicarle pensando a quello che stiamo vivendo:

  1. Gesù chiede all’uomo infermo: “VUOI GUARIRE”? Alla  risposta affermativa del  malato segue il comando, perentorio: “alzati, prendi la tua barella e cammina”. Non so, mi sembra che ci sia una sorta di ironica spregiudicatezza da parte del Maestro, che, col suo comando, mi manda questo messaggio: “forse certe cose non capitano, perché, alla fine non le vuoi”! Lo dico pensando ai nostri giorni, alla pandemia che ci sta “paralizzando” …. Ma poi, senza scomodare il Padre dei cieli, “noi vogliamo guarire?”. Solo la risposta affermativa, conclamata con tenace fermezza a noi stessi, può essere inizio di un cammino. Se non cominceremo a chiederci “vogliamo veramente guarire, siamo disposti a prenderci le nostre responsabilità, i nostri lettini dai quali non vorremmo alzarci con la gambe ma solo a parole … ?“, veramente, “potrebbe capitarci qualcosa di peggio”. Perché peccare significa non centrare, e dunque mancare, il bersaglio della nostra vita e della nostra umanità. Ma non è punizione divina, facciamo tutto noi! Self-made-men! 
  2. I GIUDEI PERSEGUITAVANO GESÚ PERCHÉ GUARIVA DI SABATO. Insomma, ci sono dei momenti che è vietato guarire, vivere e rinascere (?!). E, udite udite, “per motivi religiosi”: lo impone la sacra legge mosaica. Ma come: il Creatore vuole interrompere il flusso della vita, della ri-creazione costante dei suoi figli? Non penso. O, per lo meno, NON LO PENSA GESÚ, ed è molto più importante di quello che possa pensare io. Il nostro legame con Dio ci ammazza o ci dà vita? Ci blocca o ci rimette in piedi? Ci fa pensare a delle scuse “tanto ci pensa la Divina Provvidenza”, oppure ci fa rimboccare le maniche …? Sono domande forti. Gesù ha risposto, in modo così chiaro che l’hanno messo in croce. Insomma: niente e nessuno ha potere su di me se io non glielo dò. 

Aggiungerei una terza riflessione, ma io lo faccio per me. Ognuno lo faccia per se stesso e si metta “nei piedi” di questo uomo paralitico, davanti a Gesù, facendosi la famosa domanda: “ma io, voglio guarire?” 

Un abbraccio affettuoso, buona continuazione! 

Per  riflettere:

  1. Voglio guarire? Da che cosa? 
  2. Chi è che mi “precede sempre” nella piscina, quando si muovono le acque? Perchè? 

LUNEDI 23 MARZO …

PRIMO PASSO …

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù partì [dalla Samarìa] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire.
Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive».
Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.
Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

Pensandoci: 

Gesù era un grande camminatore. 

I suoi passi nella Galilea e nella Samaria, per chi gli fa spazio, risuonano ancora oggi nelle tappe della geografia esistenziale delle nostre personalissime esperienze. Quanta Galilea delle genti, della confusione, del paganesimo e della fede genuina si alternano, nei nostri cuori affannati, in questi giorni! 

Gesù cammina anche lì, e lo fa con la sua Parola che diventa “comunicazione di cambiamento” anche per noi. 

Gesù “cammina” lasciando una grande impronta anche nella vita del funzionario del re, che stava vivendo una situazione disperata a causa della malattia gravissima del figlio. All’accorata supplica del padre, “rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. 

Il vangelo ci parla di un segno – miracolo, che non si ripete, ma ha un valore permanente per tutti: la Parola di Gesù ha il potere di sanare e guarire. 

L’esperienza che, invece, universalmente, riguarda proprio tutti è che un uomo credette a quella Parola e si mise in cammino …. Questo fa la differenza, inaugurando la possibilità e la speranza di “scendere” nuovamente là dove non vorresti che capitassero mai certe cose, e credere che i tuoi passi, i tuoi pensieri, e le tue mani operose possono aprire sentieri di novità. 

Questo deve capitare anche per noi,  secondo il Vangelo, che mi pare suggerisca una semplice e rivoluzionare parola: “non avere paura di fare il primo passo. Non avere paura di fare dei passi anche se sarai primo e solo”. 

I primi passi permettono al mondo di cambiare, di rinnovarsi. 

Conversione significa fare PASSI NUOVI.

Fare PASSI NUOVI significa CAMBIARE IL MONDO, perché cambiano chi li fa. 

Per riflettere: 

  • Qual è il “primo passo” che non ho ancora fatto nella mia vita? 
  • Una volta finita l’emergenza,  quali passi di novità vorrò fare per me e per il mondo nel quale vivo? 

DOMENICA 22 MARZO …

Buona domenica!

A tutti voi, cari Parrocchiani,  amici  e … fratelli!

Sì, perchè in questo momento ci sentiamo fratelli come non mai, ma non perchè ci vogliamo più o meno bene (non è detto che i fratelli lo facciano), ma perchè consapevoli che, oltre a essere figli di Dio (e non tutti lo credono), siamo tutti figli della medesima situazione che ha cancellato i nostri modi di “classificarci”:  non siamo più né ricchi né poveri, né belli né brutti, né istruiti o ignoranti, né famosi o sconosciuti, ma tutti, dentro le nostre case, più uniti che mai nella stessa medesima situazione che ci tocca indistintamente, anche se non lo vogliamo.

Ieri ho sentito alcuni amici di Bergamo al telefono. Erano stremati. Non ne potevano più. Per la strada loro sentono soltanto il suono delle sirene dell’ambulanza. Noi, forse non ci stiamo ancora rendendo conto. Speriamo di non doverlo fare mai.

Per favore, state a casa. Stiamo a casa. Questo è il gesto di amore più bello che possiamo fare. Il nostro coinvolgimento in una grandissima responsabilità. Sì, anche noi possiamo fare qualcosa di positivo in tutto questo trambusto. Anche noi, con la nostra pazienza, potremo permettere al mondo di vedere di nuovo la possibilità di una nuova normalità. 

Stamattina ho celebrato la Messa: vi porto sempre tutti, indistintamente, nel mio pensiero e nel mio cuore. Ci mettiamo nelle mani di colui che crea e ri-crea. 

IL VANGELO DI OGGI 

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita; sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.

UNA MEDITAZIONE

Ricopio le parole di Ermes Ronchi, sono bellissime: 

Siamo tutti come ciechi in cerca della luce

Il protagonista del racconto è l’ultimo della città, un mendicante cieco dalla nascita, che non ha mai visto il sole né il viso di sua madre. Così povero che non ha nulla, possiede solo se stesso. E Gesù si ferma per lui, senza che gli abbia chiesto nulla. Fa un po’ di fango con polvere e saliva, come creta di una minima creazione nuova, e lo stende su quelle palpebre che coprono il buio. In questo racconto di polvere, saliva, luce, dita, Gesù è Dio che si contamina con l’uomo, ed è anche l’uomo che si contagia di cielo; abbiamo uno sguardo meticcio, con una parte terrena e una parte celeste. Ogni bambino che nasce “viene alla luce” (partorire è un “dare alla luce”), ognuno è una mescolanza di terra e di cielo, di polvere e di luce divina. «Noi tutti nasciamo a metà e tutta la vita ci serve per nascere del tutto» (M. Zambrano).

La nostra vita è un albeggiare continuo. Dio albeggia in noi. Gesù è il custode delle nostre albe, il custode della pienezza della vita e seguirlo è rinascere; aver fede è acquisire «una visione nuova delle cose» (G. Vannucci). Il cieco è dato alla luce, nasce di nuovo con i suoi occhi nuovi, raccontati dal filo rosso di una domanda ripetuta sette volte: “come ti si sono aperti gli occhi?”. Tutti vogliono sapere “come”, impadronirsi del segreto di occhi invasi dalla luce, tutti con occhi non nati ancora. La domanda incalzante (come si aprono gli occhi?) indica un desiderio di più luce che abita tutti; desiderio vitale, ma che non matura, un germoglio subito soffocato dalla polvere sterile della ideologia dell’istituzione. L’uomo nato cieco passa da miracolato a imputato. Ai farisei non interessa la persona, ma il caso da manuale; non interessa la vita ritornata a splendere in quegli occhi, ma la “sana” dottrina. E avviano un processo per eresia, perché è stato guarito di sabato e di sabato non si può, è peccato… Ma che religione è questa che non guarda al bene dell’uomo, ma solo a se stessa e alle sue regole? Per difendere la dottrina negano l’evidenza, per difendere la legge negano la vita. Sanno tutto delle regole morali e sono analfabeti dell’uomo. Anziché godere della luce, preferirebbero che tornasse cieco, così avrebbero ragione loro e non Gesù. Dicono: Dio vuole che di sabato i ciechi restino ciechi! Niente miracoli il sabato! Gloria di Dio sono i precetti osservati. Mettono Dio contro l’uomo, ed è il peggio che possa capitare alla nostra fede. E invece no, gloria di Dio è un mendicante che si alza, un uomo che torna a vita piena, «un uomo finalmente promosso a uomo» (P. Mazzolari).

E il suo sguardo luminoso, che passa e illumina, dà gioia a Dio più di tutti i comandamenti osservati!”

Un abbraccio a tutti!

SABATO 21 MARZO …

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

 

Cari amici, buongiorno a tutti! 

Sì, auguriamocelo ancora! Sì, continuiamo a sperare! Non smettiamo di sognare e di anelare a una rinnovata normalità che,  in questi giorni di “covatura” forzata nella stretta dei muri delle nostre case, può diventare possibilità di camminare ancora. San Paolo dice che “siamo salvati nella speranza”: facciamoci ancora salvare dalla speranza, dalla nostra voglia di vivere, non facciamoci mangiare dall’angoscia; ogni gesto che facciamo sia pieno di vita, anzi, domandiamoci:  quello che dico, penso, faccio, sta portando vita, a me e agli altri?”. Noi in questo momento siamo nelle mani di tante persone che si impegnano con tutto loro stesse per darci il meglio che possono. Le ricordiamo. Mandiamo loro tutta la benedizione che portiamo nei cuori. Le ringraziamo. E magari, rivolgiamo al Signore la stessa preghiera del pubblicano al tempio che dice solo una cosa: “Signore, abbi pietà di me, che sono un peccatore”. É una preghiera bella, che esprime tutta l’incertezza, l’incapacità, la confusione di cose che non si capiscono, ma anche il realismo di chi sa che può rivolgersi al Padre anche “a distanza” (come stiamo facendo noi le cose nei nostri giorni), e senza alzare gli occhi al cielo, perchè la testa ci è diventata molto pesante e non sappiamo bene come guardarLo. Ma la nostra preghiera raggiungerà il cielo, l’altra del tronfio narcisista spiritualizzato no, anche perchè non si rivolgeva al Padre, ma decantava le sue performances religiose a se stesso. 

Ma a salvarci, non è neanche e solo la preghiera, che magari in questi giorni facciamo più difficoltà a fare, ma il Salvatore, quello che ci ha raccontato Gesù. 

VENERDI 20 MARZO

OTORINOLOGICAMENTE PARLANDO … 

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocàusti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Un piccolo pensiero … 

Domanda coraggiosa quella di “uno degli scribi”. Regole, regoline, regolucce, regolone riempivano le scuole della Torah, ossia della Legge di Dio. Domandare quale sia la prima è domanda forte, potrebbe corrispondere a: “ma tra tutte queste cose, queste esigenze, questi avvenimenti … cosa rimane?” Risposta di Gesù: “rimane l’amore”. Ora, Gesù tutto era meno che un illuso, sapeva cosa significasse questa parola. Lo sapeva al punto da assumerla morendo su una croce. Sì: “morto per amore”. Perchè la verità dell’amore è questa: “ti dono qualcosa di me”, “ti dono me”. 

Attenzione però, l’impegnativo comandamento è preceduto da un verbo, all’imperativo: “ascolta!”. Questo tutti lo tralasciano e allora … si arriva dove si arriva. 

Non si ascolta una Parola sensata per noi, non si ascoltano i palpiti faticosi della respirazione della terra, non si ascolta il pianto di chi ci sta accanto, non si ascolta il depauperamento di sempre più persone che devono vivere per arricchirne ingiustamente sempre meno, ci si accusa istituzionalmente della causa delle malattie omettendo vergognosamente, la causa di tutto: la mancanza di ogni senso sulla quale si costruisce, oggi, la vita dell’umanità. Il mortifero dialogo con il proprio ego che deve stare sempre e inevitabilmente al centro di ogni cosa fa stragi. 

La sordità miete vittime, porta alla morte … ce ne stiamo accorgendo. 

Rimettiti ad ascoltare se vuoi riscoprire l’amore, ossia la forza di rinascere oltre e attraverso la morte. Rimettiti a sentir-ti. Leggi le tue tensioni e le tue incertezze: chiediti che cosa ti stanno chiedendo,  chiediti cosa ti sta suggerendo la terra, chiediti che cosa stai facendo per cambiare qualcosa, chiediti cosa potrai fare di nuovo, personale, insieme ad altri, per rialzarti e cambiare qualcosa. 

Ascolta! E fallo con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta la forza e con tutto se stesso. 

Ascolta significa ama!

Se lo faremo tutti potremmo chiudere le scuole della Legge, perchè, finalmente, avremo trovato la vita. 

Per riflettere:

  • Quando sento dentro di me cosa non va, sono capace di ascoltarlo?
  •  A chi devo dare più ascolto, oggi?

GIOVEDI 19 MARZO …

“PRENDI CON TE”

Dal Vangelo secondo Matteo

Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.

Cari amici, buona giornata! 

Auguri ai tanti Giuseppe che oggi festeggiano il loro onomastico.

Oggi celebriamo la festa di un grande uomo che non ha parlato molto, anzi, il Vangelo non riporta neanche una sua parola, ma ha fatto molto, fatto tutto quello che poteva fidandosi della voce dell’Angelo e del sogno. Giuseppe PRESE CON SE’, ossia, “com-prese”, fece suo, si fece carico, collaborò alla storia della salvezza attraverso i gesti della cura e della protezione che un buon padre mette in atto per le persone che ama. E lo Spirito comincia a diventare carne. 

Giuseppe diventa padre perché il suo gesto permette a altri di vivere, di “essere generati”. 

Giuseppe ci assomiglia, o meglio, noi tutti dovremmo assomigliare a Lui, soprattutto in questi giorni nei quali siamo quasi costretti a “prendere con noi” i destini di tante persone che ci vivono accanto, attraverso i gesti del rispetto e della solidarietà che passano anche dal nostro “stare a casa”, da vivere con immensa pazienza. Chiaro, sembra quasi dispettoso il sole primaverile a dirci: “ma dai, che vuoi che sia, due passetti, magari andando a trovare l’amica o l’amico del cuore?” … Anche Giuseppe si confronta con le voci che vorrebbero far “ripudiare” la sua situazione, ma decide di no, sceglie di allearsi con quella voce che avrebbe iniziato una storia, quella di un Salvatore, diventandone a sua volta, continuamente salvatore. 

Sì, Giuseppe salva il Salvatore. 

Forse lo possiamo fare anche noi. 

Tra noi. 

Per riflettere … 

Quando “mi desterò dal sogno” di questi giorni … che cosa vorrò fare di nuovo? 

Cosa faccio di “costruttivo” in questi giorni di “resistenza” amorevole? 

AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO SIGNIFICA: STA A CASA!

A meno che non ci siano necessità impellenti, stare a casa è un segno di responsabilità, umanità e, per chi di noi dice di essere un cristiano,  fraternità.

Non ha alcun senso pregare il Signore che faccia quello che dovremmo fare noi e poi prendersela perchè non l’ ha fatto!

Che ipocrisia da paganesimo miracolistico che non ha nulla a che fare col Vangelo!

Sinceramente se mi affaccio su Corso Piave, a parte il bar chiuso, il traffico pedonale e di macchine non mi sembra molto diminuito ….

MERCOLEDI 18 MARZO …

Puntini, dimenticanze e … vicinanza

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o
un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

Un pensiero per la giornata. … 

Proprio come nella vita. Quando tralasci i puntini e i trattini tutto sembra saltare in aria. La storia di Dio con il suo popolo è una storia di amore, di vicinanza. Essa va custodita da una Parola che il Signore rivolge a chi vuole intraprendere il grande viaggio della libertà alleandosi con Lui. Le storie d’amore cominciano sempre da piccole cose che rivelano grande attenzione: con Dio e tra noi. Quando sboccia un amore ci si sente unici perchè qualcuno/a ci riconosce a partire da una piccola attenzione, da un particolare importante per noi, da un fiore nato sul ciglio del marciapiede, da un bacio, da un piccolo messaggio fatto di due parole che vale più di una conferenza interessantissima sull’amore … insomma: iota (che è una piccolissima lettera dell’alfabeto ebraico, della dimensione del nostro apostrofo) e puntini fanno la differenza. Iota e puntini dicono: ci sono con tutto me stesso, e te lo dico a partire da piccoli particolari che parlano di rispetto e di unicità, perché “il tutto è nel frammento” quando ci si vuole bene. Da quel piccolo nasce il futuro. La grandezza di una storia. 

Il compimento di cui parla Gesù, allora, diventa fondamentale. Su questa strada ritrovo me stesso. Nella memoria di una vicinanza che riparte e ricorda, l’attivazione di una nuova storia. Un dire che dal rispetto di certe pratiche apparentemente irrilevanti tutto può essere trasformato. 

In questi giorni abbiamo ridotto la grandezza del nostro mondo a pochi metri quadrati: quelli delle nostre case. In quel piccolo spazio, nel piccolo dei nostri gesti attenti, magari possiamo riscoprire il senso delle cose grandi, che un giorno hanno sancito l’inizio di storie promettenti, perse nell’universo della dimenticanza … di noi stessi. 

Buona giornata!

Per riflettere:

Quali sono i piccoli particolari che hanno attivato il mio amore e le mie passioni? (Pensane almeno 3)

Cosa posso fare per riscoprire gli “iota” e i “trattini” dimenticati della mia storia?