3 MAGGIO, DOMENICA …

VOCI

In quel tempo, Gesù disse:
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

(Per favore guardate il breve video per capire cosa sto scrivendo)

https://youtu.be/xAdpo2rKur0

Eh, sì, Gesù aveva proprio ragione: le pecore seguono il Pastore perché ne conoscono la voce! Ce l’ha mostrato bene il pastore del video: puoi urlare quanto vuoi, fare le capriole e perdere la berta, ma loro … non  ascolteranno gli estranei. 

Non ascoltare gli estranei non vuol dire che non saranno “sedotte” o “fregate”, ma che il loro cuore non sarà mai lì dove si trovano “ingannate” con il loro corpo. 

La vera posizione della nostra vita non è solo quella fisica del nostro corpo, ma anzitutto quella del nostro cuore: noi siamo là dove è il nostro cuore, non dove ci vedono e ci facciamo vedere; noi siamo là dove sentiamo la verità che scorre dentro di noi e che per mille motivi abbiamo abbandonata, anche se questo ci ha sequestrato la vita, ci ha uccisi interiormente e ci ha letteralmente distrutti. Noi andiamo sempre, un po’ ingenuamente e scriteriatamente,  dove ci porta il cuore, ma non ci chiediamo mai se il nostro cuore batta e dia vita lì, proprio nel posto in cui ci troviamo. 

Ora, il primo passo per riconoscere la bontà della voce del Pastore è questo: riconoscere (o riscoprire) la verità del nostro cuore di pecora. 

Ridirci, con estrema verità, se ci sentiamo “divisi e alienati” e se veramente allontanarci dal Pastore Buono sia  per noi la soluzione che ci faccia finalmente trovare pace, unità e voglia di vivere. 

E perché le pecore ri-conoscono questa voce?

Perché  hanno fatto esperienza del fatto che in quell’ascolto altro non c’era che VITA E VITA IN ABBONDANZA. Perché hanno capito che chiamare ogni pecora per nome, significa che proprio “stando dietro a Lui”, hanno trovato la posizione che le ha rese pastori anche della loro vita. 

Stiamo con il Signore per diventare signori, sovrani; amiamo Dio per ricominciare ad amare noi stessi e il prossimo nostro in modo diverso; accogliamo delle indicazioni di strada, di senso e di passione perché abbiamo capito che Lui, proprio Lui, è la nostra VIA, VERITÁ e la nostra VITA. 

Cristo esiste perchè IO ri-esisto in Lui. 

Se non passo da questa esperienza, con grande serietà e attenzione, Gesù sarà destinato a rimanere  quella statuina impolverata nell’angolo nascosto della mia casa, o il feticcio delle mie proiezioni mentali infantili e immature che non mi riscattano mai dal torpore acquietante e compromissorio con le voci che non mi portano da nessuna parte: “Tanto ci pensa Dio!”.  E Lui, puntualmente, non ci pensa. E allora lo abbandono. E abbandonando Lui … abbandono me stesso. E il ciclo si perpetua infinitamente, perché continuo a non capire che senza incarnazione non c’è Dio; senza di me  (IO) non c’è nessun Cristo; senza pecore non esiste pastore. O meglio, c’è, ma  chissene …. ? Che ci sta a fare un pastore in una fabbrica di macchine? 

Il Pastore fa esattamente il contrario dei ladri e dei briganti, i quali vengono per RUBARE, UCCIDERE e DISTRUGGERE. 

E io …  chi sto ascoltando? 

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Ringrazio e riporto le riflessioni prodotte e sintetizzate dai ragazzi delle medie e dalle loro catechiste: 

“Io sono venuto perché abbiamo la vita e ne abbia in abbondanza”

Pk il pastore donerebbe la sua stessa vita per le sue pecore , come Cristo ha fatto con noi , mentre il ladro si può paragonare al diavolo , ci vuol trarre in inganno e far smarrire la retta via” .

“Chi non entra dal recinto delle pecore dalla porta ma vi sale da un’altra parte è un ladro e un brigante. Speriamo di avere sempre la forza di bussare a quella porta senza cercarne altre che sembrano più facili. La porta che è Gesù che non delude, perchè non è ladro né brigante.”

“Mi colpisce sempre la famigliarità  con la quale il pastore si rivolge alle pecore… le chiama ad una ad una, conosce il loro nome, ha costruito con loro un rapporto chiaro e trasparente, non interessato ed ha sicuramente  dedicato a loro molto tempo.

Mi piace sapere che questo è  il rapporto che il Signore vuole instaurare con noi se sappiamo riconoscere la sua voce  perché  il bello di questo rapporto è  anche che noi siamo liberi di scegliere.”

“Questo passo del vangelo mi dà una grande serenità, perché mi dà la certezza che c’è sempre qualcuno che si occupa di me. Il Signore mi conosce…. Conosce ognuno di noi”.

“Io sono venuto perché abbiano vita e l’abbiano in abbondanza”. Se seguiamo il pastore non dobbiamo temere l’abbondanza della vita nella sua pienezza. 

Proprio così, perché a volte la cosa che ci fa più paura è … vivere in pienezza! 

BUONA DOMENICA! 

2 MAGGIO, SABATO …

AUSTE!*

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, la Chiesa era in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.
E avvenne che Pietro, mentre andava a far visita a tutti, si recò anche dai fedeli che abitavano a Lidda. Qui trovò un uomo di nome Enèa, che da otto anni giaceva su una barella perché era paralitico. Pietro gli disse: «Enèa, Gesù Cristo ti guarisce; àlzati e rifatti il letto». E subito si alzò. Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saròn e si convertirono al Signore.
A Giaffa c’era una discepola chiamata Tabità – nome che significa
Gazzella – la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine. Proprio in quei giorni ella si ammalò e morì. La lavarono e la posero in una stanza al piano superiore. E, poiché Lidda era vicina a Giaffa, i discepoli, udito che Pietro si trovava là, gli mandarono due uomini a invitarlo: «Non indugiare, vieni da noi!». Pietro allora si alzò e andò con loro.
Appena arrivato, lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le vedove in pianto, che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra loro. Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi, rivolto alla salma, disse: «Tabità,
àlzati!». Ed ella aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. Egli le diede la mano e la fece alzare, poi chiamò i fedeli e le vedove e la presentò loro viva.
La cosa fu risaputa in tutta Giaffa, e molti credettero nel Signore.

Un pensiero:

I latini dicevano: “nomen omen est”, ossia, “il nome è una promessa, un impegno”. Noi diciamo un po’ più volgarmente: “tutto un programma!”. 

Oggi vorrei che pensassimo questo adagio in riferimento alle persone, incontrate da Pietro, di cui parla il libro degli Atti degli Apostoli. 

Enea.

Beh, anche a chi non l’ha mai studiato, non può non venire in mente l’Eneide (che narra, appunto, le gesta del guerriero Enea) e l’Iliade di Omero. 

Enea è uomo dell’azione, della guerra, dei viaggi, del fato, dell’affidamento agli dei. Insomma, dici Enea e pensi al peperoncino, a una vita scoppiettante e mai ferma, piena di avventure. Una vita …piena di vita! 

Non così per il “povero” Enea della nostra lettura, che da otto anni giaceva su una barella perché era paralitico. Si direbbe più un anti-Enea che un vero Enea, si direbbe il contrario delle movimentatissime gesta, che riceve in eredità quasi indiretta, colui che porta questo nome. 

E poi Gazzella, Tabità. 

Chi di noi non si intenerisce di fronte a questo meraviglioso mammifero, corridore della Savana, che può raggiungere i 50 km orari? Corridore per vocazione. Corridore per necessità, se pensiamo alla storiella del leone che la rincorre … Corridore, dunque, per vivere! 

Negli Atti degli Apostoli, Gazzella, che era una donna,  in quei giorni si ammalò e morì. 

Insomma, sembra di trovarci davanti a una situazione che ti fa pensare: “ma noi non siamo fatti per questo!”. 

Vero! Infatti siamo fatti per camminare, correre e vivere! 

É interessante il comando che Pietro dà a entrambi i miracolati dall’incontro, attraverso di lui, con Gesù: “ALZATI!” 

Già: prima di camminare, di riprendere le proprie attività, di rifare il letto, occorre fare anzitutto questa cosa: ALZARSI. 

Alzarsi per rimettersi a respirare in modo nuovo, alzarsi per pensare che non possiamo rimanere “coricati” nei nostri pensieri che bloccano il flusso della vita, alzarsi e rimettersi a pensare, da una nuova posizione, il senso delle cose. 

É anzitutto un annuncio di LIBERAZIONE, un moto di GIOIA, di ESULTANZA, per mutare il nostro stato di vita pieno di odio, pregiudizi, morte  e risentimenti che ci fa coricare in noi stessi. 

Dal GIORNO DI PASQUA, l’uomo CAMBIA POSIZIONE, deve cambiare il proprio modo di pensare:  passare da un cuore imprigionato a un cuore libero. Come Pietro dopo la Resurrezione, che sembra avere ammorbidito la sua vita e il proprio nome, duro come la roccia,  davanti al Risorto che ha convertito le sue paure, per suggerire a noi  di immergerci nel nome di Gesù: per ricevere il suo Spirito di vita. 

Questi giorni l’Enea e la Gazzella frustrati che ci sono in noi lo sentono in modo netto: si manifesta ciò che prima era occultato:  il non senso di tanti nostri modi di vivere. 

Il mondo in cui viviamo (e anche il nostro modo) però, non vuole che meditiamo e pensiamo queste cose: ci chiede invece di terrorizzarci davanti alla TV. Non ci chiedono di mutare la mente (per tutta la Quaresima non dicevamo “convertitevi”, ossia, cambia modo di pensare?) , perché se mutiamo la nostra mente e gli togliamo il FONDAMENTO scopriamo che molte della sue concezioni sono semplicemente folli, e, anziché farci correre e vivere, non fanno altro che “farci sognare” il momento di “tornare a letto”.

Altro che “alzati”!  

(*”alzati” in piemontese)

1 MAGGIO, VENERDÍ …

MERAVIGLIOSO!

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e
in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi

Un pensiero … 

Il Vangelo di oggi è ME-RA-VI-GLIO-SO! 

Sicuri di loro stessi, i compaesani di Gesù sciorinano tutte le loro certezze, sotto forma di domanda, per impedire alla Parola che è Gesù, di diventare la RISPOSTA che loro e ogni uomo dovrebbero accogliere per dare senso, cammino, profumo, direzione e profondità a una vita, finalmente riconsegnata a un destino e a un contenuto promettente. 

C’è da pensarci, il Vangelo ci dice che per accogliere Gesù e sentirlo vivo bisogna fare tre cose: 

  1. Si accoglie il Figlio quando ci si converte a Dio convertendosi agli uomini. Loro sono la “casa”, il “tempio”, la “locanda”, la residenza della Sua presenza. E allora nessuno stupore se Gesù che ha tutta quella sapienza e fa tutti quei prodigi sia figlio del falegname, di Maria e che abbia come fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone, Giuda e sorelle che abitano nello stesso paese! Proprio questa è la bellezza del Vangelo: RIPARTE DA NOI. Solo un attento sguardo intorno dice la verità e il senso dei nostri occhi sovente rivolti all’alto in un astratto cielo senza nulla. A volta addirittura senza Dio e solo pieno di noi stessi e delle nostre proiezioni mentali. 
  2. La patria e la casa di Dio, anziché diventare luogo di accoglienza, sono i posti dove il profeta viene disprezzato. La casa naturale della residenza di Gesù dovrebbe essere anzitutto il cuore e la vita dei suoi discepoli, di noi, che ci definiamo cristiani. Gesù risiede profondamente nei miei pensieri e nelle mie logiche, riesce a trasformare le mie mani e le mie parole, mi rende “come Lui”? Nella mia specifica unicità, ma proprio “come Lui”.  E chi vede me, capisce che l’ospite più importante del cuore sia Lui? Gesù diceva: “chi vede me vede il Padre”. E chi vede me, chi vede? 
  3. “Non fece molti prodigi a causa della loro incredulità” … Specifico per quanto riguarda Gesù, generico per quanto riguarda la vita: sovente le cose non capitano per questo solo motivo: NON CI CREDIAMO! E credere significa non arrendersi, lavorare, scavare, sperare, continuare … solo così, quello che non c’è ancora avrà possibilità di esserci. Tutto si trasforma, come il legno lavorato da Giuseppe. Come le convinzioni in futuri che ci vedono coinvolti. Come Gesù, quando ritrova generoso e attento spazio di ospitalità, soprattutto nella MIA casa. 

Auguri a tutti quanti i Giuseppe, maschi e femmine. 

Un ricordo speciale per i “lavoratori” …  

GLI ALBERI (1 maggio)

GLI ALBERI

Visto che oggi è giorno di festa, magari avete più tempo. Vi propongo una bellissima pagina di un libro di Erri de Luca, pertinente con la festa di Giuseppe, che accoglie Gesù nella sua casa diventandone padre: 

L’albero è la  forza verticale di natura, spinta dal suolo a sollevarsi in alto. Somiglia alla postura della specie umana. 

Per capire i falegnami bisogna risalire ai boschi. Chi si è inoltrato in un’assemblea di alberi, è stato accolto alla loro ombra, si è steso sulle sue radici ha potuto ascoltare il coro. Noi moderni siamo abituati all’indifferenza per la materia prima e al culto per il prodotto finito. Siamo abituati a pagare poco la fonte e cara la foce. La scrittura sacra racconta il valore degli alberi, del legno e del lavoro umano. 

Il tronco trasformato in assi ha bisogno di starsene disteso per stagioni intere a dimenticare la linfa
e indurire la fibra. Gesù impara da Iosèf, participio presente del verbo iasàf, aggiungere, accrescere. Ioséf è colui che aggiunge. Questo dovrebbe essere il titolo di ciascuno che viene al mondo, e già con la sua presenza accresce l’umanità di immensità nuova, ricchezza di una vita in più a rincalzo di forze contro lo spreco della morte. Ci vogliono molti Ioséf in una generazione. 

Lui è falegname, un maestro di alberi e di tagli, un fornitore di arnesi per la comunità. Gesù nasce in una stalla, ma cresce in una bottega di artigiano. Fatto è che Gesù ha svolto da fondo a cima il lungo apprendistato da garzone a mastro durante gli anni eterni d’infanzia e adolescenza. Il suo corpo è cresciuto sotto la disciplina del lavoro manuale. E se è vero che in fatto di scrittura sacra era «nato imparato» come si dice al sud, che sapeva discutere alla pari con dottori e studiosi, questa dote non gli era stata data pure in falegnameria. Nella bottega di Ioséf, non gli fu risparmiato nessun grado dell’addestramento, compreso le martellate sulle dita. 

Toccava a lui, Gesù, finire come un legno disteso e immorsato, messo in opera da una volontà di offerta e sacrificio. La sua vita era materia prima. La docilità del legno era la sua. Gli alberi non possono scappare, quando arrivano i tagliatori, restano ad accoglierli e a farsi abbattere. Anche lui come loro non era scappato”. 

(Erri De Luca, Penultime notizie circa Ieshu/Gesù)

30 APRILE, GIOVEDÌ

Cosa mi impedisce? 

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: «Àlzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ecco un Etíope, eunùco, funzionario di Candàce, regina di Etiòpia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaìa.
Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti e
accòstati a quel carro». Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaìa, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui.
Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:“Come una pecora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca. Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, la sua discendenza chi potrà descriverla? Poiché
è stata recisa dalla terra la sua vita”.
Rivolgendosi a Filippo, l’eunùco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù.
Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunùco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua;
che cosa impedisce che io sia battezzato?». Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunùco, ed egli lo battezzò.
Quando
risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunùco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada. Filippo invece si trovò ad Azoto ed evangelizzava tutte le città che attraversava, finché giunse a Cesarèa.

Non so se capita anche a voi, ma a volte le parole mi fanno venire in mente delle canzoni.

Oggi, nel racconto degli Atti degli Apostoli, la parola “carro” ha fatto venire a galla (dal deposito oggetti del mio cervello) uno spiritual che a me piace molto: Swing low, sweet chariot … Ossia “dondola dolce carro … arriva per portarmi a casa”. 

Anche su un carro, sulla strada che  scendeva da Gerusalemme a Gaza,  l’Eunuco stava tornando a casa dopo aver visitato la città santa del popolo eletto. 

(Quanto assomiglia, questo inizio, a quello della famosa parabola del Buon Samaritano, dove un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico). 

L’uomo eunuco legge il rotolo del profeta Isaia dove si parla del Servo di Jhawhè, descritto come pecora condotta al macello, dalla indescrivibile discendenza, la cui vita é stata recisa dalla terra. 

Proprio come  lui: senza possibilità di discendenza, senza possibilità di appartenere al popolo eletto, allontanato dalla stessa Legge di Mosè, perché impossibilitato di portare sulla carne il segno dell’alleanza … sarà anche stato amministratore di tutti i beni della regina di Etiopia, ma puoi avere tutte le cose della terra, se la vita non ti scorre dentro, se il futuro ti è chiuso, vivi da morto (non è di nuovo il poveretto della parabola, malmenato e buttato violentemente in un fosso?). 

Solo la spiegazione di quella parola – da parte di Filippo – sentita tanto enigmatica quanto vicina alla vita del suo lettore, diverrà comprensione, attraverso l’annuncio di Gesù – Salvatore di ogni uomo –  che anche per l’eunuco la vita non era giunta al termine, ma anzi, attraverso il gesto del Battesimo, che “liquefaceva” tutti quei pensieri così distruttivi, poteva entrare nel senso di una vita salvata e destinata a essere feconda e piena di futuro perché radicata nel Dio che dà la vita a tutti i figli che lo accolgono come loro Salvatore. 

Filippo diventa il Buon Samaritano dell’annuncio di una Salvezza, che è tale a partire dal momento dell’accordo di una fiducia accogliente e ospitale. Dal momento in cui, come ci ricordavano i ragazzi domenica scorsa, la “locanda” del cuore apre la sua porta al messaggero e al Messaggio che “non c’è morte che tenga” nell’orizzonte del Vangelo e della speranza che annuncia. 

Il solitario eunuco non è più lo stesso: quando risale sul suo carro è pieno di gioia! 

E pieno di gioia prosegue la sua strada. Ossia, vive. Vive riempito da una presenza che sarà luce continua sul suo cammino. 

Ora, io penso che questa Parola ci riguardi tutti da vicino. Forse l’eunuco è anche nostro compagno di viaggio, anche lui si accosta a noi, sale sul nostro carro, scende con noi per battezzarci e ricordarci che mai nulla (se non noi) ci impedirà di immergerci nell’acqua che dà vita e continuare, con lo sguardo risollevato, anche se con fatica, il nostro cammino. Personale e comunitario. 

29 APRILE, MERCOLEDÌ…

CONFLITTI

Dagli Atti degli Apostoli

In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme; tutti, ad eccezione degli apostoli, si dispersero nelle regioni della Giudea e della Samarìa.

Uomini pii seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per lui. Sàulo intanto cercava di distruggere la Chiesa: entrava nelle case, prendeva uomini e donne e li faceva mettere in carcere.

Quelli però che si erano dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola.

Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città.

Dal Vangelo secondo Giovanni

Voi mi avete visto, eppure non credete.

Un pensiero:

Perché si dice che la Parola di Dio è Parola di vita? 

Anzitutto perché contiene e trasmette la Vita, che è Gesù, ma poi perché parla sempre DELLA nostra vita e ALLA nostra vita. 

Il mondo e le situazioni nelle quali accade, se facciamo attenzione,  corrispondono inevitabilmente alle location delle nostre personalissime esperienze, e proprio lì – se ci crediamo – può accadere l’incredibile esperienza di avere trovato quel “tesoro” che ci permette di investire in qualcosa che, a dispetto di ogni contraddizione, ci consente di non fermarci mai, ma anzi, apre scenari inaspettati, inediti e sovente assai fruttuosi. 

Proprio come capita nel Libro degli Atti degli Apostoli: si apre con una violenta persecuzione e si chiude con grande gioia in quella città.

Una persecuzione è un evento drammatico: c’è  addirittura un super fariseo (come si definiva Paolo) che cerca di distruggere la Chiesa.  

Cosa succede però? Quelli che si erano dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola, e quelli che sentivano erano molto interessati vedendo anche dei segni in grado di liberare dagli spiriti malvagi, di rimettere in piedi, di riallineare cammini  … INIZIA COSÍ L’EVANGELIZZAZIONE. 

Non è che la stessa cosa capita così anche nelle nostre vite? 

Non è che proprio nei momenti di massima “agitazione” interiore, insicurezza e minaccia il ricorso alla speranza, che è Gesù, sia l’unica vera forza e vita in grado di riempire, ancora e nonostante tutto, le nostre membra infiacchite, ferite  e demotivate? Il nostro confidare in Lui la porta di accesso a processi di trasformazione altrimenti impossibili? In quel momento capita che un evento, brutto come una persecuzione, che per noi può avere mille volti diversi,  diventi la possibilità di scoprire veramente l’alleanza con quel  Salvatore che crea in me un respiro nuovo, rieduca i passi del mio cammino e mi fa rialzare. 

E ritorna la gioia che non è l’ebete sorriso incantato di chi “lascia che sia, tanto ci pensa Dio”, ma operosità rinnovata e rinvigorita in un cuore che ospita il Risorto. 

E capisci che quella città della Samaria, sono proprio io. 

Sono proprio io che devo essere evangelizzato! Ossia, che IO devo diventare Vangelo,  IO devo essere nutrito, istruito, fecondato,  saziato e guidato da quella PAROLA DI VITA. 

Se la mia relazione con Gesù non passa di lì, anche se sono un super-cristiano, rischio proprio di vivere quella situazione che Gesù  sbatte in faccia ai suoi interlocutori: VOI MI AVETE VISTO, MA NON CREDETE. Noi lo vediamo, andiamo a Messa, diciamo le Preghiere: ma. … permettiamo alla Parola di Dio di evangelizzarci, ossia di rendere la nostra  vita COMUNICAZIONE BUONA, ricevuta e donata?

Leggevo queste belle parole di Michaeldavide Semeraro: “ogni volta che la Parola di Dio ritrova il suo posto d’onore non solo liturgico, ma esistenziale nella vita delle comunità ecclesiali e nel vissuto di ogni singolo credente, le cose, pur rimanendo uguali nella sostanza, sono avvertite in modo profondamente diverso”.

Quindi, anche  se dobbiamo ancora aspettare qualche giorno in più per celebrare insieme l’Eucarestia, la nostra recezione esistenziale della Parola può sempre avvenire. 

A partire di lì troviamo vita.

E poi faremo festa. 

Per riflettere: 

Domande che dovremmo farci ogni volta che ascoltiamo o leggiamo la Parola di Dio: 

“É reale? Mi riguarda? Mi appella? Mi rendo conto che è possibilità unica di rigenerazione?” 

28 APRILE, MARTEDÌ ….

PROFESSIONISTI

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, la folla disse a Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”».
Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane».
Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Sarà che noi sappiamo come inizia e come finisce il Vangelo, ma, davanti a certi dialoghi, soprattutto quelli tra Gesù e i suoi “avversari” (farisei, dottori della Legge, grandi sacerdoti in primis), c’è proprio l’impressione che certe domande e richieste, più che realizzare una comprensione sempre più libera e approfondita del Figlio di Dio, servano a confondere, rinviare, inventare e confermare le proprie idee e i propri pregiudizi nei confronti di uno che … è meglio fare fuori! 

Il volto del discepolo, allora, si trasforma nel muso ingrugnito di chi non vuole farsi incontrare, ma anzi, vive soltanto di scontri e opposizioni. Il genuino desiderio di ricevere vita da un maestro di vita nella professionalità di abili inventori di vere e proprio scuse. 

Anche la pagina di oggi – che prosegue la scena della moltiplicazione del pane e dei pesci, e la conseguente ricerca di Gesù per “farlo  re” (risolto il problema della fame!) – lascia per lo meno titubanti: puoi ancora domandare: “quale segno compi perché vediamo e ti crediamo?”? Ti viene da chiedere, ma … “c’eri e non c’eri?” Oppure, in modo più figurato, “ci sei o ci fai?

Gesù risponde riconducendo il principio e il senso di ogni cosa al Padre: “è il Padre mio che vi dà il pane …. “ e il “pane in questione”, ossia, il cibo che dà vita, è proprio Lui, quel Figlio che rimanda costantemente alla Sua e nostra Sorgente. 

Rimettere a posto “l’ordine delle cose”, forse è la sola possibilità per comprendere che:

  1. Gesù vive come “segno” per le nostre strade di vita. Colui che ci mostra cosa significhi vivere “da uomo” secondo il pensiero di Dio. 
  2. Gesù vive fidandosi del Padre e della sua affidabilità, fidandosi di quel comando di vita che corrisponde al dono della propria vita. Ossia, tu ti nutri del Pane di vita per diventare vita attraverso il pane che sei tu. “Trova la vita chi la dona” dice in un’altra pagina del Vangelo. Ma forse, ancora più vero: “chi non ama rimane nella morte”.  La decisione di amare è la sola possibilità di rimettere in moto e in gioco la forza della vita, di rinascere e aprire nuove possibilità. 
  3. Non basta MANGIARE il pane, occorre NUTRIRSENE. Non sempre il nostro modo di mangiare corrisponde a nutrizione e assimilazione, a volte ha più la forma di un trangugiamento,  di un divorare che prescinde dalla possibilità di sentire il gusto e il profumo di quello che metti in bocca. Gesù traduce la cose dicendo: “chi VIENE a me … chi RIMANE in me”. Nutrirsi di Gesù è un’azione, una scelta, che mette in gioco il mio andare quotidiano verso di Lui e il desiderio di “stargli accanto”, come i discepoli di Emmaus, per capire che, anche se viene la sera, almeno  una piccola e flebile fiammella sarà sempre lì, a indicare luce ai passi della nostra peregrinante vita. 

Buona giornata a tutti!  

27 APRILE, LUNEDI …

E TU, COSA GUARDI? 

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, Stefano, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni tra il popolo.
Allora alcuni della sinagoga detta dei Liberti, dei Cirenèi, degli Alessandrini e di quelli della Cilìcia e dell’Asia, si alzarono a discutere con Stefano, ma non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava.
Allora istigarono alcuni perché dicessero: «Lo abbiamo udito pronunciare parole blasfeme contro 
Mosè e contro Dio». E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo condussero davanti al sinedrio.
Presentarono quindi falsi testimoni, che dissero: «Costui non fa che parlare contro questo luogo santo e contro la Legge. Lo abbiamo infatti udito dichiarare che Gesù, questo Nazareno, distruggerà questo luogo e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato».
E tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo.

Tra tutte le cose intelligenti che i ragazzi hanno scritto ieri, per commentare il Vangelo dei discepoli di Emmaus, una mi risuona e torna in mente, leggendo la storia di Stefano narrata negli Atti degli Apostoli: “So che sto camminando a fianco di Gesù perché lo so che è li e mi accompagna, ma io faccio come i due discepoli di Emmaus, non me ne accorgo e continuo ad andare avanti, devo solo trovare la locanda in cui fermarmi e riconoscerlo”.

Stefano penso che abbia fatto lo stesso cammino, e, con tutto se stesso, ospitava, nella locanda del suo Cuore, la presenza del Maestro, al punto da fare prodigi e segni, proprio come Lui; al punto che quando lo calunniavano e lo interrogavano non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava; al punto che anche davanti alla tensione delle false accuse e del pericolo di morte videro il suo volto come quello di un angelo. 

Stefano aveva trovato la locanda per ospitare Gesù al cuore delle sue motivazioni e nel cuore della sua vita. Stava con Lui,  Lo viveva nei suoi gesti e nelle sue parole, si “fermava e lo riconosceva continuamente” permettendoGli di trasformare la sua vita. 

Insomma, FUORI noi siamo semplicemente quello che abbiano DENTRO.

Penso Stefano e penso la mia vita. 

Quante volte mi sento minacciato dalle calunnie, mi sento “in pericolo di morte”, perché c’è qualcosa di straziante e inatteso che pare sequestrarmi la serenità del cuore, gli imprevisti mi fanno continuamente degli sgambetti, pare che quello che costruisco con fatica ogni giorno mi interpelli diversamente ….  E mi chiedo: dove guardo in questi momenti? . Il mio volto è come quello di un Angelo? Ossia un volto i cui tratti non sono il frutto della tensione inconcludente, ma la fioritura dell’accoglienza di una Parola a cui guardo prima di ogni altra cosa (Angelo significa annuncio, ormai lo sappiamo a memoria), che ha il potere di dipingere tratti diversi e sempre nuovi, di una speranza accolta ma anche vissuta?

In questi giorni c’è una polemica sulle messe celebrate o no. 

Prima di questo, io penso che dobbiamo farci un’altra domanda: MA QUELLO CHE DICO E CREDO DI DIO, LA SUA PAROLA, STA TRASFORMANDO LA MIA VITA E IL MIO MODO DI STARE NEL MONDO? 

Senza questa domanda, neanche i Sacramenti hanno senso.  Diventano un mero esercizio rappresentativo, dove demandiamo a Dio la responsabilità sulle nostre vite, svincolandoci dal faticoso compito di cercare “non solo il pane che perisce, ma quello che rimane”. Proprio come Gesù dice a coloro che lo cercavano per farlo re dopo avere risolto il problema della loro fame. 

Lo sappiamo bene: le cose non le vediamo per quello che SONO, ma per quello che SIAMO! Noi! 

26 APRILE, TERZA DOMENICA DI PASQUA …

La PAROLA a …

Dal Vangelo secondo Luca

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

La PAROLA oggi va  a Michele, Rebecca, Lorenzo, Matilde, Alida, Luca, Carlotta, Matteo, Alice e a tutti i ragazzi del gruppo! 

LI RINGRAZIAMO DI CUORE! Oggi è un commento veramente speciale: abbiamo chiesto loro di scriverlo  e ho provato a estrarre  le cose che possiamo “meditare” personalmente nel cammino di questa domenica, cercando di sentire, attraverso la loro TESTImonianza, la  presenza del Maestro. 

(In corsivo io scriverò due righe  per dire quanto mi hanno comunicato)

1. “Amo quell’essere riconosciuto nello spezzare il pane.

Ma lo spezzare il pane avviene dopo il lungo cammino insieme…

Ci può essere Comunione – ed il relativo riconoscimento- senza il cammino insieme? Probabilmente no.  Si riconosce non (solo) per il miracolo ma per aver camminato ed ascoltato la Parola, la Sua, lungo il cammino”.

(Camminare e ascoltare: il nome della vita. Ogni passo è una chiamata. Ogni sensazione di vitalità la risposta a un’indicazione significativa. Per noi il volto del Risorto). 

2. “So che sto camminando a fianco di Gesú perchè lo so che è li e mi accompagna, ma io faccio come i due discepoli di Emmaus, non me ne accorgo e continuo ad andare avanti, devo solo trovare la locanda in cui fermarmi e riconoscerlo”.

(Verissimo, ne abbiamo bisogno! Quante persone in questi giorni mi dicono: “quando ci rincontreremo, quando celebreremo di nuovo la Messa?”. É vero, la nostra Chiesa è il luogo fisico ufficiale, ma c’è un’altra “locanda” che portiamo sempre con noi: il nostro cuore. Bello fermarsi ad ascoltare e riconoscere la sua Voce che parla anche lì). 

3. “I due discepoli hanno invitato Gesù a restare con loro. Mi ha fatto pensare che nelle nostre vite Gesù è sempre presente e siamo noi a doverlo “invitare” a stare con noi”.

(Non è che troppo sovente non lo sento in me … proprio per questo motivo? )

4. “A volte le cose (ma anche le persone) che diamo per scontate in realtà sono le più importanti e significative, così come i piccoli gesti a cui non facciamo caso”.

(Coronavirus! Tempo per imparare a riconoscere che, nella vita, contrariamente a come ci educano a credere, nulla è scontato e automatico!)

5. “In questi periodi bui noi non dobbiamo pensare che il Signore non ci stia aiutando ma, sta a noi cercarlo nelle cose che ci rendono più felici così da superare questi momenti”.

(“Bussate, e vi sarà aperto”. Anzi, forse non siamo mica noi a dovere bussare, forse è Lui che bussa a noi! )

6. “Quante volte mi accorgo troppo tardi delle possibilità che mi si presentano e non riesco a goderne appieno. Poi, scatta una scintilla che ti fa ” aprire gli occhi” e ti viene da pensare quanto tu sia stato stupido per non essertene accorto subito!”.

(Il presente ci chiama a vivere, a trovare senso in ogni piccola cosa. I latini dicevano una bellissima cosa: HIC ET NUNC, ossia, QUI E ORA. L’attenzione, le radici, la presenza, sono valori inestimabili).

7. “Il Vangelo mi ha fatto pensare a quello che sta succedendo ora: insomma, tutti pensavano che con la crocifissione di Gesù sarebbe tutto finito, che non ci fosse speranza… ma non è così, non è mai troppo tardi per continuare a sperare in quello che si crede; nel Vangelo, non è mai troppo tardi per credere in Gesù e nella sua parola, per noi ora non è troppo tardi per perdere la speranza”.

(Grazie! San Paolo ce lo dice continuamente: “noi siamo salvati nella Speranza”).

8. “Molto spesso, quando vogliamo raggiungere un obiettivo, ci concentriamo solo sul risultato dando per scontato ciò che facciamo per arrivarci. Questo brano mi ha fatto riflettere su come, a volte, dovremmo fermarci per renderci conto dell’importanza di alcuni valori e atteggiamenti di cui molte volte ci dimentichiamo”.

(Già, la vita non è solo questione di COSA, ma di COME! In quel COME la nostra capacità di raccontarci ed esprimerci attenti e capaci di esprimere la nostra unicità vedendo quanto sta attorno a noi). 

9. “Non dobbiamo credere alla prima cosa che ci viene sotto mano ma bisogna approfondire, studiare, in modo da sapere le cose”. 

(Ogni pianta sta in piedi perchè profondamente radicata nel suo terreno vitale. Non c’è vento che tiene quando si costruisce una casa sulla roccia …. )

10. “Da questo passo, per me, emerge la contrapposizione tra la logica razionale, rappresentata allegoricamente dagli “occhi impediti a riconoscerlo”, che non concepisce la resurrezione di Cristo e perciò fa rassegnare i due discepoli alla sua morte; e il cuore, allegoria della fede, che riconosce Gesù solo sentendolo parlare “Non ardeva in noi il nostro cuore mentre egli conversava”?

Da questo brano voglio desumere l’insegnamento che non sempre la decisione migliore è affidarsi ciecamente alla ragione ma, a volte, è bene concedere parola anche alla nostra anima”.

Mi pare la conclusione più saggia e l’augurio che estendo a tutti quanti leggeranno con riconoscenza  le parole con le quali ci avete fatto riflettere.

Buona domenica, DIAMO PAROLA ALLA NOSTRA ANIMA, grazie di cuore a tutti voi! 

25 APRILE, SABATO …

CONFUSIONE

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Un pensiero:

Svegliati, mio cuore, svegliatevi, arpa e cetra, voglio svegliare l’aurora”.

Stamattina leggevo le parole del salmo 107 e mi veniva una sorta di “nostalgia”: di luce, di chiarezza, di “aurora”. 

Non avete l’impressione  che l’aurora dentro di noi, a volte,  dorma sonni profondi?

E allora mi piace vivere con questo atteggiamento, profondo e pacificato, davanti alla Parola di Dio: “qui posso trovare qualcosa che accenda, mi illumini, mi riscaldi e svegli la mia aurora. Qui  posso trovare la MIA alba!”

Gesù, dopo la Resurrezione nel Sabato santo fa proprio questa operazione: “scende negli inferi”, ossia porta la sua alba nei tramonti di morte, la sua luce nel buio, il suo inizio nella fine. 

Scrive bene Atanasio: “il Signore ha raggiunto tutte le parti della Creazione, affinché ciascuno dappertutto si incontri con la Parola, anche colui che è smarrito nel mondo dei demoni (ossia delle divisioni interne, degli spaesamenti, della mancanza di orientamento)”. 

Marco, di cui oggi ricorre la festa, in fondo dice la stessa cosa: Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Questa Parola è per tutti e vuol essere annuncio buono per ogni creatura. 

Leggevo:  

 L’evangelista non racconta alcun incontro (con il Risorto) , perché questa esperienza non appartiene a un passato di cui è possibile redigere una memoria; appartiene piuttosto al presente di ogni discepolo, di ogni lettore del vangelo. L’incontro con il Risorto non deve essere narrato, perché deve essere vissuto  Come? “Sollecitati ad andare, a cercare; e dobbiamo farlo «in Galilea», che simbolicamente rappresenta l’ordinarietà della nostra vita, la quotidianità del nostro lavoro, delle nostre relazioni e dei nostri affetti, come pure le nostre infermità, i nostri smarrimenti, il nostro bisogno di salvezza, il nostro desiderio di felicità. In quella Galilea, Gesù ha visto degli uomini mentre lavoravano e li ha chiamati alla sequela; ha guarito molti indemoniati e malati; ha incontrato uomini e donne annunciando loro la vicinanza del Regno con la prossimità calda e ospitale della sua umanità. Marco non narra l’incontro con il Risorto. Ci suggerisce come e dove cercarlo, in quale modo farne viva esperienza, ma poi lascia a noi il compito di narrare ciò che abbiamo vissuto. Questo, infatti, è il vero problema della fede: non basta credere che Gesù sia risorto dai morti, occorre incontrarlo vivo e presente nella nostra storia” (Messa e preghiera quotidiana, Dehoniane. Pag. 353).

E ti accorgi allora che il  Vangelo non è solo un annuncio, ma anzitutto una medicina, che cura le ferite aperte e  ridà vita. 

Ora, aldilà della luce e del buio, mi veniva da pensare, alla fine di questi (bellissimi) pensieri: “tutto vero! Ma come si può far capire, trasmettere,  vivere a chi non ha mai sentito pace nel cuore nella propria vita? Come si fa a dare questo annuncio che ti “riallinea” interiormente quando sei costretto a vivere con altre 3 o 4 persone in 40 metri quadrati senza potere mai uscire, quando il massimo dell’espressione culturale è quella che ti viene offerta dalla televisione, quando la domenica è l’unico momento per recuperare le cose che non puoi fare durante la settimana, quando i tuoi figli ti fanno disperare e diventano la tua preoccupazione assoluta, quando ti muore una persona cara e non puoi neanche salutarla, quando hai perso il lavoro e non sai come arrivare alla fine del mese,  quando, quando, quando … ?“ e la lista si allunga, all’infinito. Ognuno di noi sa. 

E ricadi nella tenebra che precedere l’aurora. 

Però pensi anche: se la prosa è troppo dura i poeti non devono più scrivere? Se i panorami sono desolanti non dobbiamo più sognare?  Se le immagini che vedi attorno a te sono desolanti gli occhi non devono più cercare panorami di bellezza? Se la notte sembra invadere tutto bisogna spegnere l’ultima lampadina che rimane a disposizione? Se la morte è vinta, dobbiamo (come dice Pietro) uccidere l’autore della vita? 

Aldilà delle consapevolezze personali e dei traguardi, penso che la Buona Notizia che permane è soltanto una: TU SEI SALVATO!

Anche se non sei degno, anche se non capisci, anche se fa tutto schifo. 

E da lontano, ecco là, ricomincia ad albeggiare …