OGGI COME MI VESTO? (una riflessione interessante … )

Si misura l’intelligenza di un individuo dalla qualità d’incertezza
che è capace di sopportare
(E. Kant)

In questi giorni chissà quante volte abbiamo detto: “Non so più come vestirmi”. Un giorno ci sono venticinque gradi e il giorno dopo dieci. Un giorno il sole è caldo, si sente la primavera e subito dopo ti svegli con le nuvole e il vento gelido. Una giornata limpida, con il cielo terso, ti fa illudere che sia scoppiata la bella stagione, ma subito devi ricrederti. Esci di casa con maglia, giacca e ombrello anche quando brilla il sole. Non ti fidi più. Il tempo è tremendamente variabile e ti costringe ad una costante incertezza. Oggi pomeriggio sono uscito senza ombrello e… sono tornato a casa bagnato. Ora, nello studio, ci ripenso e mi trovo a meditare sulla vita. Essa è sempre tremendamente incerta, come il tempo. Facciamo finta di avere certezze, ma la maggior parte delle volte brancoliamo nell’incertezza. Ogni giorno è sconosciuto, nuovo, incerto. Ogni ora, ogni minuto. Sorgono imprevisti, contrattempi, sorprese. Sei felice e ti arriva un problema inaspettato a rabbuiarti. Hai programmato la tua agenda e devi spostare ogni cosa. Speravi in un giorno di vacanza e sei costretto ad andare al lavoro d’urgenza. Pensavi che tuo figlio avesse capito il discorso e ti ritrovi a doverlo rifare da capo. Ti svegli in salute e nel pomeriggio sei al pronto soccorso. Com’è incerta la vita! Ogni giorno devi rivedere il tuo modo di pensare, rifare i tuoi giudizi, rivedere i programmi. Ogni giorno devi imparare cose nuove, affrontare domande inedite, confrontarti con posizioni diverse. La vita è tremendamente sorprendente e non si può incasellare in una rigida dottrina. Neppure il cristianesimo. Dice Papa Francesco: “La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo”. Purtroppo ancora tanti credenti riducono il cristianesimo alle verità del catechismo e pretendono di leggere tutta la storia con quelle verità. Anzi, pretendono di imporle a tutti. Che tristezza! Chiedo scusa agli uomini e alle donne di questo tempo che incontrano cristiani così. Non è quello il cristianesimo! Quello è un insulto alla grandezza di Gesù Cristo e alla grandezza dell’intelligenza che Dio ci ha donato. I discepoli di Gesù Cristo sono in cammino come tutti e con tutti. Umili ed in ricerca. Capaci di dialogare e di offrire il proprio contributo con gentilezza e rispetto. Come faceva il nostro Maestro. Sapendo che resta vero ciò che afferma Kant: l’intelligenza non si misura sulle certezze, ma sulla capacità di sopportare e gestire l’incertezza. In questi giorni non sappiamo come vestirci e sarebbe ridicolo uscire ogni mattina rigidamente con il cappotto o in camicia. Nell’incertezza cerchiamo l’abito più adatto. La vita ci sorprende e noi cerchiamo di risponderle nei modi più appropriati. Dialogando con la vita e non, invece, imponendole i nostri vestiti.

(“Le Parole per dirlo” di Derio Vescovo)

FESTA DELL’ASCENSIONE DI GESÚ AL CIELO

SALIRÓ

 Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Il Vangelo sorprende e spaesa continuamente, dall’inizio alla fine: nasce in una grotta, esce nella vita di una famiglia, attraversa la Galilea, la Giudea e la Samaria, sale e scende sui monti e dai monti per beatificare, trasfigurare e morire su una croce,  scende dal sepolcro al cuore della terra per risalire fino al Cielo, alla destra di Colui che lo ispirava e da lì, attraverso il Soffio del suo cuore amante, raggiunge ogni uomo aperto e accogliente la Vita per prendere definitiva dimora. 

La festa della salita (Ascensione di Gesù al cielo), insomma, è l’epilogo della cronaca di una grande discesa piena di passione, di amore per noi. La festa della salita, che sembra la dissoluzione di ogni concretezza e riferimento realistico, si trasforma in mani, voci, pensieri, passi e rinnovata possibilità di uomini e donne accoglienti. L’apparente assenza di Gesù lascia spazio così alla concreta presenza dei discepoli: a loro il compito di portare nel mondo i segni miracolosi del “Crederci” alla scuola quotidiana del Maestro. Buona notizia per uomini che quotidianamente si auto esorcizzano alla scuola della Libertà che finalmente trova il suo riferimento liberante; buona notizia per chi incomincia a parlare delle nuove lingue ma soprattutto dei linguaggi assunti e appresi alla scuola dell’Amore, genesi di bene-dizioni al posto delle solite parole mal-dette e mortificanti; buona notizia per chi nel veleno che acidifica e ammorba la vita propria e dei fratelli non soccombe, ma ricerca l’antidoto in esso contenuto … (l’antivirus nasce dal riconoscimento del virus letale); buona notizia di mani che accolgono, accarezzano, compiono bene anziché male e ridonano al mondo limitato e gemente la possibilità di aprirsi a nuove speranze che rimettono in carreggiata e fanno ripartire ogni cosa. 

La notizia bella è che il Maestro non era tanto bravo nella Scienza dei Numeri, perchè, ormai buttata all’aria lo schema dei Dodici perfetti apostoli, che, uno per uno lo hanno abbandonato, rimanendo Gli Undici, rivolge proprio a loro, sgarrupato ammasso di infedeltà impaurita, la scommessa della diffusione dell’Annuncio. A loro. A noi. In tutto il mondo e per ogni creatura. 

I segni arrivano e accompagnano Creature Nuove che hanno definitivamente compreso che le cose cambiano se il Signore agisce e conferma la sua Parola. Non uno sforzo morale, ma la liberazione di frutti, di molto frutto. Perchè la gioia, possa cominciare a essere un po’ più piena. 

SESTA DOMENICA DEL TEMPO PASQUALE

 STARE “IN” GESÚ

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho
udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti
perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Se prerogativa delle pecore è ascoltare la voce del Pastore, che viene seguito STANDO DIETRO di lui, il viticoltore ci dice che la possibilità di portare frutti nelle nostre vite, accanto al realizzazione della gioia piena, dipende dal nostro STARE DENTRO la vite e la “vita” che è Gesù. Proprio come Gesù ha fatto con il Padre suo, dal quale trovava sempre fonte di ispirazione e realizzazione. 

Ci sono tre parole sulle quali protraemmo riflettere nel corso della settimana: RIMANERE, UDIRE (e conoscere), PORTARE FRUTTO. 

RIMANERE: la nostra vita dipende dai “luoghi di residenza” della nostra mente, da quei posti dove decidiamo che i nostri cuori siano di casa. “Sono in te tutte le mie sorgenti” dice il Salmo 87. E se so dov’è la sorgente, là comincio a costruire. Dalla storia umana si sa che le grandi città nascono tutte vicino ai grandi fiumi: perchè il fiume è vita, acqua, possibilità di futuro per la terra. E noi dove siamo radicati? Sempre il Salmo ci suggerisce con parole belle e poetiche: “Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere”. E continua: “Non così, non così gli empi, ma come pula che il vento disperde” … Tutto può subire il rischio di crollare improvvisamente quando siamo a corto di solide basi. 

UDIRE: sovente lo diciamo: il Signore lo vediamo con le orecchie, ossia con il nostro ascolto attento e attivo. Quante volte lo sia è difficile dirlo, perchè noi viviamo in un sistema di cose che tende volontariamente a distrarci, per non tornare a farci le domande importanti e continuare così a renderci inconsapevoli, vittime impoverite e orientate da desideri che non realizzano nulla ma favoriscono solo ed esclusivamente la logica commerciale. E diventiamo oggetti, numeri, “esseri calcolabili”, come ci ricordiamo tante volte ormai da un po’ di tempo. Importante è scegliere cosa ascoltiamo e “come ascoltiamo”. Gesù dice proprio così: “fate attenzione a come ascoltate!” 

PORTARE FRUTTO: cosa c’è di più inutile di una pianta che non fruttifichi? Certo, anche le foglie fanno la loro parte. Certo, anche la fotosintesi clorofilliana apporta benefici a tutti, ma questo non basta. Noi siamo nati per portare frutti, e portare frutti significa vivere. Portare frutti significa accondiscendere a una dinamica della “gioia” che parte dal cuore, attraversa le mani e raggiunge i fratelli. Quella gioia che non è la stupida ilare ridancianità di chi pensa di vivere senza problemi, ma la pace di un cuore che riesce appunto a portare frutto anche nel mezzo del conflitto e della tempesta perché rimane sempre in un ascolto pieno di vita e di … sorprese. 

DO NOT LET (W. Whitman)

Non lasciare che finisca il giorno senza essere cresciuto un po’,
senza essere stato felice, senza aver incrementato i tuoi sogni.
Non lasciarti vincere dallo sconforto.
Non permettere che nessuno ti tolga il diritto di esprimerti,
che è quasi un dovere.
Non abbandonare l’dea di poter fare della tua vita qualcosa di straordinario.
Non smettere di credere che le parole e le poesie possono cambiare il mondo.
Succeda quel che succeda, la nostra essenza è intatta.
Siamo esseri pieni di passione.
La vita è deserto ed oasi:
ci abbatte, ci ferisce,
ci trasforma,
ci costringe ad essere protagonisti
della nostra propria storia.
Anche se il vento ci soffia contro,
la poderosa opera non s’arresta:
tu puoi apportare la tua strofa.
Non smettere mai di sognare,
perché in quei sogni sta la libertà.
Non cadere nel peggiore degli errori:
il silenzio.
La maggior parte delle persone vive in un silenzio spaventoso.
Tu non rassegnarti.
Fuggi.
“Riecheggiano le mie barbariche urla sopra i tetti del mondo”,
dice il poeta.
Ama la bellezza delle cose semplici.
Si può fare della bella poesia sulle piccole cose,
ma non possiamo andare contro noi stessi.
Questo trasforma la vita in un inferno.
Godi del panico che ti provoca avere la vita davanti.
Vivila intensamente,
senza mediocrità.
Pensa che in te sta il futuro
e affronta il compito con orgoglio e senza paura.
Impara da chi possa insegnarti.
Le esperienze di chi ci ha preceduto,
dei nostri “poeti morti”,
ci aiutano a camminare per la vita
La società di oggi siamo noi, però,
i “poeti vivi.”
Non permettere che la tua vita ti passi accanto
senza che tu la viva.

Walt Whitman 

QUINTA DOMENICA DI PASQUA

NELLE MANI DEL BUON VITICOLTORE 

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché
senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

 

Cambiamo specialità: domenica scorsa venivamo chiamati dalla voce del Buon Pastore, che ci indicava i buoni pascoli per vivere stando dietro a Lui e ascoltandolo; oggi ci rimettiamo con tanta fiducia nella mani del Buon Viticoltore, il quale opera sulla sua vigna per un solo motivo:  perchè porti un buon frutto, molto frutto! E lo fa con infinita pazienza, come ogni buon viticoltore che sa che prima di produrre uva la sua vigna dovrà passare anni infruttuosi. 

La possibilità di un risultato del genere,  ci dice il Vangelo,  dipende dalla nostra capacità di sapere dimorare nella sorgente della vita, la Parola (se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi), e permettere a quell’acqua fresca, linfa vitale per ognuno di noi, di scorrere nel nostro tralcio e attraversarlo.

Forse noi non ce lo ricordiamo mai abbastanza, ma ogni cosa che facciamo dipende dal luogo di dimora dei nostri pensieri e del nostro cuore. Dimorare nel Signore significa stare di casa in Lui. 

Grande domanda di possibilità di liberazione: io dove sto di casa? Perchè uno sta di casa dove ama, noi dovremmo imparare a stare di casa nel Signore, perchè è Lui a liberarci dai nostri condizionamenti e dalle alienazioni che impediscono di procedere, vivere e camminare. Amare il Signore non significa dirGli : “ti voglio bene”. Amare il Signore significa percorrere la strada che Lui ci apre, fidarci di Lui, farci prendere per la mano, insomma, “fare” come Gesù, che si fida totalmente del Padre.  Proprio come il tralcio, che NON PUÓ PORTARE FRUTTO DA SE STESSO (ma perchè, se lo sappiamo benissimo, viviamo come se ce ne dimenticassimo continuamente?)  SE NON DIMORA NELLA VITE, e, per dirla tutta, nella VITA (“io sono la vita”). 

Sì, LA MENTE SI NUTRE DEI PENSIERI CUI DÁ CREDITO! 

E allora, il mio amore e la mia intelligenza da che cosa e da chi vengono alimentati? 

QUARTA DOMENICA DI PASQUA

A CACCIA DI VOCI … 

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

 

Nella prima lettura di questa domenica, tratta dal libro degli Atti degli Apostoli – ossia il libro dei gesti (atti) nati dall’accoglienza della pace del Risorto e della vita, tornata in tutta la sua prorompente forza perchè liberata dalla paura della morte –  il pavido Pietro, che nel cortile del Sommo Sacerdote rinnegava Gesù per tre volte, oggi, davanti ai capi dei sacerdoti e degli anziani che lo volevano zittire, dice questa cosa grandiosa: “Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati». Questa affermazione, che è la scoperta del “tesoro nel campo” per il quale vendere e lasciare ogni altro apparente bene, a noi lascia abbastanza indifferenti, provocando la stessa reazione emotiva che potremmo avere davanti al latte che bolle nella pentola. Eppure … sapere che c’è una salvezza a disposizione, che la  vita ha un senso  non soltanto dopo la morte, ma rinnovato e offerto continuamente al  cuore aperto e accogliente, è la notizia delle notizie!

Eppure … perchè quando parliamo tra noi, sembra che il massimo della gioia venga offerta dalla quantità di giga risparmiati sul cellulare, o dallo sconto di 5 euro per un prodotto comperato da Amazon arrivato a casa tua il giorno “prima” di ordinarlo? 

Insomma, ma noi quando andiamo da Gesù (preghiamo, leggiamo il vangelo, chiediamo la celebrazione dei Sacramenti per noi e per i nostri figli) cosa cerchiamo, cosa vogliamo, come ci facciamo incontrare e coinvolgere? La risposta la dobbiamo dare, onestamente, solo a noi stessi. Siamo noi che ogni giorno decidiamo quale “pastore” seguire. Tante voci ci chiamano. Tante “visioni” ci seducono. Dove vogliamo andare? Il Vangelo ci dice che dobbiamo imparare la delicata arte del discernimento che nasce dalla seria analisi dei frutti delle nostre decisioni. Il lupo prima o poi arriva, il problema, davanti a questa incognita inattesa, è quello di trovarci a dire: “da chi mi voglio fare salvare?”: da un pastore buono che ESPONE, DISPONE e DEPONE la sua vita a mio favore, donandola sino alla fine, oppure da un “mercenario” (mamma mia com’è contemporanea e attuale questa immagine!) che altro non ha a cuore che mungere, tosare, vendere e macellare le pecore, perchè soltanto interessato  a rubare, immolare gli altri e distruggere?

E noi, quanto siamo “vittime” di un sistema economico che ci tratta da “persone calcolabili” e controllabili, spiate e monitorate volontariamente dal sacrificio di loro stesse all’ultimo modello di smartphone o di pc (magari rinunciando anche al pane e alla pasta) che altro non fa che riconoscere continuamente le nostre scelte e i nostri gusti commerciali per quantificare la nostra vita a livello prettamente economico? Dove sta arrivando la nostra società? 

Se il pastore buono e bello ci dà la sua vita lo fa solo per un motivo: perchè anche noi possiamo vivere! 

TERZA DOMENICA DI PASQUA

Vi lascio la MIA pace!

 

 In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

Oggi in tutte e  tre le letture della Messa si parla della conversione e del perdono dal peccato. 

Ma cosa significa, per noi,  questo peccato, che oggi non sembra sfiorare minimamente la nostra sensibilità? 

Cosa significa “ricevere il perdono”, quando non ci sembra di essere responsabili di nessuno e, tutt’al più si vivono le nostre azioni come “una questione privata” (ci penso io, me le gestisco io) ? 

La risposta la può capire solo una persona per la quale il Risorto e il Padre di Gesù sono importanti. 

Il peccato è sempre la ferita di una relazione, che non nasce semplicemente dalle cose brutte che faccio (quelle sono sempre delle conseguenze), bensì dalla decisione di non fidarsi più di Dio e della sua Promessa contenuta dalla Parola e dal Suo Vangelo. Il peccato è una “relazione ferita”: Dio è tagliato via da noi, è stata costruita una diga, un diaframma, una barriera all’acqua che vorrebbe dissetare le nostre seti e irrigare i campi aridi del nostro cuore: “Io bevo altrove”, “preferisco dissetarmi in me”, “sono in me le sorgenti della vita” (capirai che sorgenti ci sono!) … come dire, in altro modo, la decisione di credere all’ispirazione del serpente che continuamente suggerisce a noi Adami ed Eve:  “qualora mangiaste quello che Dio vi ha proibito si aprirebbero i vostri occhi e diventereste padroni del bene e del male” (Libro della Genesi…Storiella da preti del “peccato originale”, vero?).  

Il problema, caro serpente,  è che noi non siamo padroni proprio di niente, al limite  siamo “amministratori” di cose a “tempo limitato”, e certi affanni unilaterali che ci tolgono il respiro e il sonno in un secondo spariranno dalla nostra vita. E cosa rimane? Cosa mi avrà fatto vivere e continuerà a farmi vivere? Già, peccato originale significa origine di ogni peccato, che consiste nello staccarmi dalla Parola che vuole essere la mia vita, dal Signore che vince ogni morte, dalla terra che vuole custodire nel legame con il Padre il legame buono con tutti i suoi figli, che diventano così, per mia scelta, i miei fratelli e il mio prossimo. 

Non peccare non vuol dire non sbagliare, ma ritornare continuamente alla sorgente della vita e della luce, per questo, quando i discepoli tornano ad accogliere la pace piena di amore e non giudicante del Risorto fanno una cosa molto semplice: TORNANO A VIVERE! 

Per questo una delle cose che il Risorto fa quando torna a trovare i discepoli chiusi in loro stessi e soffocati dal laccio della loro paura è questa: lascia la pace e il mandato di portare la Sua Pace a ogni uomo e a ogni donna. 

Questo è il nostro compito di discepoli, che si chiamano così perchè hanno deciso di trovare in quel Maestro, in Gesù, le ragioni buone del proprio cammino. 

Farne esperienza è … TORNARE A VIVERE! 

Non farlo … UN VERO PECCATO!

SECONDA DOMENICA DEL TEMPO DI PASQUA

IL GEMELLO … nostro 

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. 

Sinceramente mi irrita un po’ la fantasia che si scatena, a volte,  in modo un po’ forzato sul testo del Vangelo. Uno di questi momenti è quando si parla di Tommaso. Tommaso che “non credeva”, Tommaso che “era fuggito”, Tommaso che “non si fidava se non metteva il naso” , il suo. Il Vangelo non dice le cose che diciamo noi, ma nella sua sobrietà ci lascia intravedere tutto ciò che dobbiamo e ci è sufficiente sapere.

Vorrei allora sottolineare tre cose a mio parare interessanti: 

  1. TOMMASO NON ERA CON LORO: dov’era andato? E chi lo sa! Fuggito? Uscito a prendere un bicchiere di limonata fresca? Voltato le spalle ai discepoli? Non ci interessa, sono affari suoi. A noi interessa che “non era con loro”, non c’era. Quante volte anche il nostro nome di discepolo è questo: “non ci sono”, “sono uscito”, “sono fuori (di corpo e di testa) ”. Ci capita. Anche questo movimento di allontanamento, tuttavia,  può non essere la fine. Anzi, a volte la sana possibilità di “prendere le distanze” per ripensare il NOSTRO modo di “essere” e di “stare” davanti a Dio e davanti al mondo. Nome del discepolo è anche questo: “a volte non c’è, è assente”. Ce lo dice il Vangelo. 
  1. OTTO GIORNI DOPO I DISCEPOLI ERANO IN CASA E C’ERA CON LORO ANCHE TOMMASO: la grandezza di Tommaso è stata di ritornare a casa e di “stare con loro”, i suoi compagni discepoli e apostoli. Anche questo è segno di fede, e di fede grande! Il popolo dei distruttori prolifica nel mondo. Quanti sicurissimi giudici delle cose che non vanno, dell’incoerenza degli “altri” (sempre e solo gli altri, però), del categorico giudizio senza appello …; anche tra i discepoli sicuramente serpeggiava il malumore e la scontentezza, il risentimento e la vergogna per la consapevolezza di avere abbandonato l’amato Maestro … quante cose non funzionavano; eppure i discepoli continuano a stare insieme, con il “Traditore-Guida della Chiesa” Pietro. Insieme, confortati e “riavviati” dalla presenza di Gesù Risorto e portatore di “pace a voi!”, si tirano su le maniche per ricominciare, arricchiti dalla comune povertà e dalla condivisa unica ricchezza che era il Signore che riguadagnava il centro del cerchio. 
  1. MIO SIGNORE E MIO DIO!” : Questa è la professione più bella del vangelo: “MIO Signore e MIO Dio”. Non si tratta di un aggettivo possessivo, ma di un aggettivo “affettivo”, che interpreterei come:  riconosco che appartieni alla mia vita, che la comprendi e la conosci perchè sei nato come me; continui a portare le ferite dei giorni sulla pelle – anche se la luce della vita risorta ti ha cambiato – e  non banalizzi né relativizzi le lacrime che hanno rigato il “mio” volto; muori come me, esattamente come me, e in questo “mio” c’è  tutto il genere umano, tutta la storia, tutto il cammino di recupero e di contenuto delle direzioni da dare alla vita, che diventano in Te quello che maggiormente è pertinente con sete di luce e di acqua che ogni giorno piange nel mio cuore desideroso di Vita!”. 

E la storia riparte … uguale, ma tutta diversa!

 

PASQUA 2021

A tutti quelli che leggono, indistintamente:

BUONA PASQUA!

I

Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Andrò in giro per le strade
zufolando, così,
fino a che gli altri dicano: è pazzo!
E mi fermerò soprattutto coi bambini
a giocare in periferia,
e poi lascerò un fiore
ad ogni finestra dei poveri
e saluterò chiunque incontrerò per via
inchinandomi fino a terra.
E poi suonerò con le mie mani
le campane sulla torre
a più riprese
finché non sarò esausto.
E a chiunque venga
– anche al ricco – dirò:
siedi pure alla mia mensa,
(anche il ricco è un povero uomo).
E dirò a tutti:
avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio
e solo con un sorriso.

 

II

Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Tutto è un suo dono
eccetto il nostro peccato.
Ecco, gli darò un’icona
dove lui – bambino – guarda
agli occhi di sua madre:
così dimenticherà ogni cosa.
Gli raccoglierò dal prato
una goccia di rugiada
– è già primavera
ancora primavera
una cosa insperata
non meritata
una cosa che non ha parole;
e poi gli dirò d’indovinare
se sia una lacrima
o una perla di sole
o una goccia di rugiada.
E dirò alla gente:
avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio
e solo con un sorriso.

 

III

Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Non credo più neppure alle mie lacrime,
e queste gioie sono tutte povere:
metterò un garofano rosso sul balcone
canterò una canzone
tutta per lui solo.
Andrò nel bosco questa notte
e abbraccerò gli alberi
e starò in ascolto dell’usignolo,
quell’usignolo che canta sempre solo
da mezzanotte all’alba.
E poi andrò a lavarmi nel fiume
e all’alba passerò sulle porte
di tutti i miei fratelli
e dirò a ogni casa: «pace!»
e poi cospargerò la terra
d’acqua benedetta in direzione
dei quattro punti dell’universo,
poi non lascerò mai morire
la lampada dell’altare
e ogni domenica mi vestirò di bianco.

 

IV

Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
E non piangerò più
non piangerò più inutilmente;
dirò solo: avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio
e solo con  un sorriso
poi non dirò più niente.

(David Maria Turoldo
O sensi miei…, pp. 364-366)