Giovedì sera, ore 21,00
Corso Piave, 71/b – 12051 Alba Cn
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Domenica scorsa Gesù diceva, a chi lo seguiva, che se non amava Lui più della madre, del padre, delle sorelle, dei fratelli, di tutti e addirittura della propria vita non poteva essere suo discepolo. Abbiamo capito che la sua richiesta non era per dare meno a qualcuno e di più a Lui, ma per trovare quella pienezza in grado di nutrire e dare forza al nostro amore, che è tale solo perchè è sempre totale. Solo che la totalità non è facile da supportare e sopportare, per questo ci va grande attenzione per Colui che è in grado di offrire pienezza continua a chi lo rende Signore della propria vita e in grado di amare non solo a parole.
Interessante diventa allora il Vangelo di oggi, che forse doveva essere letto come introduzione a quello della scorsa domenica, dove emerge una cosa bellissima: Gesù che ti chiede di amarlo di più, è anzitutto Colui che per primo ama te più di tutti gli altri, nella tua singolarità, e lo racconta con l’esempio del pastore che va alla ricerca della pecora smarrita e della donna che perde la moneta e si mette a cercarla affannosamente, oppure del Padre che aspetta il ritorno del figlio per farlo riappropriare di tutta la sua dignità, della sua vita e del suo posto nel mondo.
Cercare, trovare … la Storia della salvezza inizia con la ricerca di Dio che non vede Adamo ed Eva nel giardino perchè si erano nascosti, e domanda loro: “Adamo, Eva, dove siete?” … Oggi lo fa anche con noi: “Luigi, dove sei? Perchè ti nascondi? Perchè non hai fiducia in me?” … se avrò il coraggio di uscire dal cespuglio dietro il quale mi sono rintanato, trovando il Padre ritroverò anche me stesso, perchè la cosa che a volte non capiamo, è che tutto quello che noi facciamo per Dio, o meglio, Gli permettiamo di fare a noi, non è per Lui, non ne ha bisogno, ma esclusivamente per noi.
E allora torniamo in questo abbraccio che continua a cercarci, non ne saremo delusi, anzi, la nostra vita si riprenderà e troverà una nuova identità. Il pastore continua a cercare. La brava massaia continua a mettere sottosopra la casa, il Padre mi aspetta sul ciglio della strada di casa: “DOVE SEI?” … “DOVE SONO?”.
Concludo con le parole sempre altamente poetiche – e dunque realistiche – di Ermes Ronchi: “Il Padre che tutto abbraccia è ridotto ad essere nient’altro che questo: braccia eternamente aperte, ad attenderci su ogni strada d’esilio, su ogni muretto di pozzo in Samaria, ai piedi di ogni albero di sicomoro: la casa del Padre confina con ogni nostra casa. È “giusto” il Padre in questa parabola? No, non è giusto, ma la giustizia non basta per essere uomini e tanto meno per essere Dio. La sua giustizia è riconquistare figli, non retribuire le loro azioni. L’amore non è giusto, è una divina follia. La parabola racconta un Dio scandalosamente buono, che preferisce la felicità dei suoi figli alla loro fedeltà, che non è giusto ma di più, è esclusivamente buono”.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
Fuoco e divisione sono venuto a portare. Vangelo drammatico, duro e pensoso. E bellissimo. Testi scritti sotto il fuoco della prima violenta persecuzione contro i cristiani, quando i discepoli di Gesù si trovano di colpo scomunicati dall’istituzione giudaica e, come tali, passibili di prigione e morte. Un colpo terribile per le prime comunità di Palestina, dove erano tutti ebrei, dove le famiglie cominciano a spaccarsi attorno al fuoco e alla spada, allo scandalo della croce di Cristo.
Sono venuto a gettare fuoco sulla terra. Il fuoco è simbolo altissimo, in cui si riassumono tutti gli altri simboli di Dio, è la prima memoria nel racconto dell’Esodo della sua presenza: fiamma che arde e non consuma al Sinai; bruciore del cuore come per i discepoli di Emmaus; fuoco ardente dentro le ossa per il profeta Geremia; lingue di fuoco a Pentecoste; sigillo finale del Cantico dei Cantici: le sue vampe sono vampe di fuoco, una scheggia di Dio infuocata è l’amore.
Sono venuto a gettare Dio, il volto vero di Dio sulla terra. Con l’alta temperatura morale in cui avvengono le vere rivoluzioni.
Pensate che io sia venuto a portare la pace? No, vi dico, ma divisione. La pace non è neutralità, mediocrità, equilibrio tra bene e male. “Credere è entrare in conflitto” (David Turoldo). Forse il punto più difficile e profondo della promessa messianica di pace: essa non verrà come pienezza improvvisa, ma come lotta e conquista, terreno di conflitto, sarà scritta infatti con l’alfabeto delle ferite inciso su di una carne innocente, un tenero agnello crocifisso.
Gesù per primo è stato con tutta la sua vita segno di contraddizione, “per la caduta e la risurrezione di molti” (Luca 2,34). Conosceva, come i profeti antichi, la misteriosa beatitudine degli oppositori, di chi si oppone a tutto ciò che fa male alla storia e ai figli di Dio. La sua predicazione non metteva in pace la coscienza di nessuno, la scuoteva dalle false paci apparenti, frantumate da un modo più vero di intendere la vita.
La scelta di chi perdona, di chi non si attacca al denaro, di chi non vuole dominare ma servire, di chi non vuole vendicarsi, di chi apre le braccia e la casa, diventa precisamente, inevitabilmente, divisione, guerra, urto con chi pensa a vendicarsi, a salire e dominare, con chi pensa che vita vera sia solo quella di colui che vince.
Come Gesù, così anche noi siamo inviati a usare la nostra intelligenza non per venerare il tepore della cenere, ma per custodire il bruciore del fuoco (G. Mahler), siamo una manciata, un pugno di calore e di luce gettati in faccia alla terra, non per abbagliare, ma per illuminare e riscaldare quella porzione di mondo che è affidata alle nostre cure.
(E. Ronchi)
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più»
Il fondale unico su cui si stagliano le tre parabole (i servi che attendono il loro signore, l’amministratore messo a capo del personale, il padrone di casa che monta la guardia) è la notte, simbolo della fatica del vivere, della cronaca amara dei giorni, di tutte le paure che escono dal buio dell’anima in ansia di luce. È dentro la notte, nel suo lungo silenzio, che spesso capiamo che cosa è essenziale nella nostra vita. Nella notte diventiamo credenti, cercatori di senso, rabdomanti della luce. L’altro ordito su cui sono intesse le parabole è il termine “servo”, l’autodefinizione più sconcertante che ha dato di se stesso. I servi di casa, ma più ancora un signore che si fa servitore dei suoi dipendenti, mostrano che la chiave per entrare nel regno è il servizio. L’idea-forza del mondo nuovo è nel coraggio di prendersi cura. Benché sia notte. Non possiamo neppure cominciare a parlare di etica, tanto meno di Regno di Dio, se non abbiamo provato un sentimento di cura per qualcosa.
Nella notte i servi attendono. Restare svegli fino all’alba, con le vesti da lavoro, le lampade sempre accese, come alla soglia di un nuovo esodo (cf Es 12.11) è “un di più”, un’eccedenza gratuita che ha il potere di incantare il padrone.
E mi sembra di ascoltare in controcanto la sua voce esclamare felice: questi miei figli, capaci ancora di stupirmi! Con un di più, un eccesso, una veglia fino all’alba, un vaso di profumo, un perdono di tutto cuore, gli ultimi due spiccioli gettati nel tesoro, abbracciare il più piccolo, il coraggio di varcare insieme la notte.
Se alla fine della notte lo troverà sveglio. “Se” lo troverà, non è sicuro, perché non di un obbligo si tratta, ma di sorpresa; non dovere ma stupore.
E quello che segue è lo stravolgimento che solo le parabole, la punta più rifinita del linguaggio di Gesù, sanno trasmettere: li farà mettere a tavola, si cingerà le vesti, e passerà a servirli. Il punto commovente, il sublime del racconto è quando accade l’impensabile: il padrone che si fa servitore. «Potenza della metafora, diacona linguistica di Gesù nella scuola del regno» (R. Virgili).
I servi sono signori. E il Signore è servo. Un’immagine inedita di Dio che solo lui ha osato, il Maestro dell’ultima cena, il Dio capovolto, inginocchiato davanti agli apostoli, i loro piedi nelle sue mani; e poi inchiodato su quel poco di legno che basta per morire. Mi aveva affidato le chiavi di casa ed era partito, con fiducia totale, senza dubitare, cuore luminoso. Il miracolo della fiducia del mio Signore mi seduce di nuovo: io credo in lui, perché lui crede in me. Questo sarà il solo Signore che io servirò perché è l’unico che si è fatto mio servitore.
(E. Ronchi)
Domenica 24 luglio, noi ragazzi del gruppo giovani del Divin Maestro siamo partiti per trascorrere tre giorni insieme in montagna a Sampeyre, a conclusione dell’estate ragazzi.
Che dire, nel complesso è stata un’esperienza unica e indimenticabile, ma allo stesso tempo irripetibile, e solo il ripensarci ci fa venire un po’ di nostalgia.
Innanzitutto è stato un piccolo viaggio alla scoperta della natura che ci circonda, in tutte le sue forme e le sue sfumature: domenica pomeriggio infatti, abbiamo fatto una breve passeggiata fino ad arrivare al ponte Tibetano che, devo ammettere, ha sempre il suo perché e rende possibile, inconsciamente, la creazione di un bel quadretto montano con il panorama mozzafiato in mezzo a tutte le alture, ai boschi e al suono dell’acqua del fiume che scorre di sotto.
Martedì invece, abbiamo fatto un’uscita che ci ha occupato l’intera giornata, fino ad arrivare a Colle del Prete, una località a 12.6 km da Sampeyre. E’ stata una giornata indimenticabile, sotto tutti i punti di vista.
In generale questi sono stati giorni in cui abbiamo avuto l’occasione di tirare fuori e mettere in risalto le nostre qualità e doti fisiche ma, oltre a questo, siamo riusciti a mio parere a rafforzare i legami umani creatisi tra i vari componenti del nostro piccolo gruppo, e questa è stata davvero una delle cose più belle e inaspettate che potessero succederci.
Tutto questo è stato reso possibile grazie al fatto che abbiamo avuto modo di passare molto tempo insieme, di lasciarci andare, di aprirci gli uni con gli altri e di chiacchierare liberamente, anche con le persone che magari prima non ci aspettavamo di legare così tanto. Per me ognuno di loro, a modo proprio, occupa uno spazio speciale nel mio cuore, per la loro capacità di ascolto, di comprensione e per la loro disponibilità.
Questa piccola vacanza a Sampeyre è stata molto importante anche dal punto di vista del confronto, perché proprio martedì mattina ci siamo riuniti per fare un resoconto finale sull’estate ragazzi di quest’anno, ricordando i momenti più coinvolgenti, ma anche le possibili fatiche e responsabilità riscontrate; inoltre abbiamo cercato di elaborare alcune proposte anche per il nuovo anno, sia per il nostro gruppo di giovani animatori che per l’impegno estivo in sé.
In conclusione, è stato davvero un viaggio pieno di emozioni, di risate e di tanto puro divertimento che, senza ognuno di noi, sono sicura non sarebbe stato lo stesso.
Ci tengo a ringraziare in particolar modo Don Luigi per la possibilità che ci ha dato di stare insieme e di vivere questi giorni in assoluta spensieratezza, e ovviamente anche Angela e Francesca, sempre disponibili e pronte a qualsiasi nostra esigenza.
Grazie Sampeyre e…ad altre mille esperienze così, ricche di umanità.
Francesca Bodeanu
Dal Vangelo secondo Luca
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”»…
Questa settimana vi invito a cercare 20 minuti da dedicare a voi stessi soltanto, al silenzio del cuore e all’accoglienza delle bellissime parole di Ermes Ronchi, sintesi magistrale piena di cuore e amore per Gesù, che commentano egregiamente e in modo insuperabile il Vangelo di domenica.
“Da sempre i cristiani hanno cercato di definire il contenuto essenziale della loro fede. Gesù stesso ce lo consegna: lo fa con una preghiera, non con un dogma. Insegnaci a pregare, gli hanno chiesto. Non per domandare cose, ma per essere trasformati. Pregare è riattaccarci a Dio, come si attacca la bocca alla fontana; è aprire canali dove può scorrere cielo; è dare a Dio del padre, del papà innamorato dei suoi figli, è chiamare vicino un Dio che sa di abbracci, e con lui custodire le poche cose indispensabili per vivere bene. Ma custodirle da fratelli, dimenticando le parole “io e mio”, perché fuori dalla grammatica di Dio, fuori dal Padre Nostro, dove mai si dice “io”, mai “mio”, ma sempre Tu, tuo e nostro. Parole che stanno lì come braccia aperte: il tuo Nome, il nostro pane, Tu dona, Tu perdona.
La prima cosa da custodire: che il Tuo nome sia santificato. Il nome contiene, nella lingua della Bibbia, tutta la persona: è come chiedere Dio a Dio, chiedere che Dio ci doni Dio. E il nome di Dio è amore: che l’amore sia santificato sulla terra, da tutti. Se c’è qualcosa di santo e di eterno in noi, è la capacità di amare e di essere amati.
Venga il tuo Regno, nasca la terra nuova come tu la sogni, una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani.
Dacci il pane nostro quotidiano. Il Padre Nostro mi vieta di chiedere solo per me: «il pane per me è un fatto materiale, il pane per mio fratello è un fatto spirituale» (N. Berdiaev). Dona a noi tutti ciò che ci fa vivere, il pane e l’amore, entrambi necessari, donaceli per oggi e per domani.
E perdona i nostri peccati, togli tutto ciò che invecchia il cuore e lo fa pesante; dona la forza per sciogliere le vele e salpare ad ogni alba verso terre intatte. Libera il futuro.
E noi, che conosciamo come il perdono potenzia la vita, lo doneremo ai nostri fratelli e a noi stessi, per tornare leggeri a costruire di nuovo la pace.
Non abbandonarci alla tentazione. Non ti chiediamo di essere esentati dalla prova, ma di non essere lasciati soli a lottare contro il male. E dalla sfiducia e dalla paura tiraci fuori; e da ogni ferita o caduta rialzaci tu, Samaritano buono delle nostre vite.
Il Padre Nostro non va solo recitato, va sillabato ogni giorno di nuovo, sulle ginocchia della vita: nelle carezze della gioia, nel graffio delle spine, nella fame dei fratelli. Bisogna avere molta fame di vita per pregare bene. Fame di Dio, perché nella preghiera non ottengo delle cose, ottengo Dio stesso. Un Dio che non signoreggia ma si coinvolge, che intreccia il suo respiro con il mio, che mescola le sue lacrime con le mie, che chiede solo di lasciarlo essere amico. Non potevo pensare avventura migliore”.
E anche quest’anno, è terminata una nuova esperienza estiva! Grazie a tutti! Anche se in regime un po’ strano legato alle restrizioni del COVID che ci ha impedito di accogliere il numero usuale di partecipanti, l’esperienza si è rivelata buona, fruttuosa e di crescita.
L’esperienza dell’estate ragazzi è sicuramente un luogo di crescita sia per gli animatori che per i bambini. Le attività proposte sono state educative e mettevano alla prova le potenzialità dei bambini. Oltre alle uscite e le mattinate in piscina abbiamo visitato lo zoo di Zoom e il parco Salgari Campus nelle vicinanze di Torino. L’ultima sera abbiamo organizzato una serata con i genitori in cui i bambini si sono esibiti con canti e balli.
Grazie alla collaborazione di tutti abbiamo ottenuto grandi risultati.
Ecco alcuni pensieri dei nostri bambini e animatori:
Gli animatori
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
OSPITARE: che strano il Vangelo di oggi, miracolosamente moderno e fuori dalle righe, proprio come Gesù. Quel Gesù che è “ospitato da Marta”, almeno ufficiosamente. Strano che “una donna” sia segnalata come soggetto di ospitalità, perchè di solito è il “maschio” a essere citato in quei tempi. E Marta e Maria avevano un fratello: si chiamava Lazzaro, maschio. Come dire: l’unico requisito che viene richiesto per entrare in relazione con Gesù e diventare suoi discepoli è “respirare” (!) e desiderare accoglierlo nella propria casa. O, ancora più precisamente, capita qualcosa con il figlio di Dio quando noi diventiamo desiderio di stare con Lui, che si incontra con il suo desiderio di stare con noi. Pensate che forte: il figlio di Dio cerca la nostra compagnia e la nostra amicizia. Se tutto non nasce di lì, altrove non nasce.
ASCOLTARE: Maria “seduta ai piedi di Gesù ascoltava la sua Parola”. Ulteriore affondo sull’identità del discepolo. É discepolo di Gesù chi ASCOLTA. Tutto il resto va, viene, si trasforma, funziona, si rompe, ma in quell’ascolto sono costantemente offerte le ragioni di una STABILITÁ diversa e mai revocata in grado di oltrepassare la tirannia di qualunque contingenza destabilizzante. Fosse anche l’attivismo. Discepolo è chi ascolta. Il fare segue l’avere dimorato nella chiamata a vivere che Gesù rivolge a chi glielo permette. Anche qui: rivoluzione: la discepola Maria, sorella di Marta, è come la discepola Maria Madre di Gesù … nessun maschio della cerchia dei dodici viene descritto in modo così preciso. E il grembo della mente e del cuore viene fecondato per aprirsi a nuove possibilità. A profumi di nardo preziosissimi da spargere attorno a sé, perchè il cuore trabocca di pienezza.
PARTI FISSE: oltre tutte le agitazioni di Marta, che sgrida la sorella che non l’aiuta, allora Gesù invita a pensare – perchè si è costantemente distolti, risucchiati, sballottati e sopraffatti dalle urgenze della vita – e invita all’Ascolto della Parola, per trovare quella “parte buona” che niente e nessuno saranno mai in grado di togliere. Il Vangelo domenica ci prende per mano per richiamarci all’attenzione sulle fondamenta a partire dalle quali costruiamo gli edifici delle nostre esistenze. Per evitare di essere “a conoscenza”, ma privi di nuove possibilità di fare.
Postilla: a volte c’è l’usanza di dire: “mica lo faccio per la Madonna!” o “per il Signore”, rivendicando giustamente e esigendo dei “ritorni” e dei guadagni per quello che si fa. Io penso che sia molto bello, invece, potere dire a volte, con somma libertà: “sì, l’ho fatto proprio per il Signore perchè per me è un motivo sufficiente per esprimere quello che credo e porto nel cuore, e non mi aspetto nessun tornaconto”. Per arrivare qui bisogna fare molta strada. Penso che sia questa la parte buona che non verrà tolta. Stando ai piedi del Signore. Però …
é molto bello e liberante!
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
Qual è l’obiettivo della tua vita?
Ieri mattina, durante il momento di preghiera degli animatori prima di iniziare le attività di Estate Ragazzi ho fatto loro questa domanda: “Ragazzi, qual è il vostro obiettivo?”. Ossia, a cosa mirate, dove pensate di arrivare, che cosa sognate, cosa guida i vostri desideri e la vostra libertà? Per qualcuno magari non è una “domanda da ragazzi” questa, perchè loro devono distrarsi, divertirsi; ma gli animatori del Divin, anche se hanno dai 14 ai 18 anni sono intelligenti, la capiscono. Anzi, mi pare che prima ci si ponga il quesito e prima si capisce come indirizzare i pensieri, le passioni, per dirla con Gesù “l’anima, la mente, le forze e il cuore”. E quando hai trovato questa calamita che unifica queste quattro fondamentali dimensioni della vita, allora hai trovato tutto, e inizi a viaggiare. Risplendi. San Paolo aveva trovato questa forza di attrazione sintetica in Gesù, al punto da arrivare a dire “tutto in Lui sussiste” (Seconda lettura). Anche il dottore della Legge, nel Vangelo, se lo domandava, perchè sentiva che la Legge da sola non gli bastava. Va da Gesù e chiede: “cosa devo fare per avere la vita … eterna?” … ossia non una vita “qualunque”, ma che sia sostenuta e radicata in qualcosa di INDISTRUTTIBILE. Di eterno.
Tentativi pratici di DISUMANIZZAZIONE
Eh già, proprio questa è la domanda fondamentale e insuperabile. Senza questa risposta tutto rischia di diventare vano. Un caro amico mi ha inviato un bell’articolo del Vescovo di Pinerolo che, citando una stupenda frase su Gesù di Christian Bobin scrive: “Forse non abbiamo avuto mai altra scelta che tra una parole folle e una parola vana”. É proprio così. Al di fuori delle proposte “folli” di vita e di amore che il Vangelo suggerisce ai suoi discepoli e a chi vuole seguire Gesù non può che darsi “vanità”. Il nostro perbenismo logico deduttivo e di buon senso, anche con le migliori intenzioni, non può reggere davanti al limite della vita. Solo l’Infinito può salvare il nostro finito, una vita di Dio vincere le nostre morti, un silenzio raccolto e pieno riempire i nostri chiassi che ci distraggono continuamente, un’eternità piena d’amore vincere i limiti delle nostre morti. Per questo bisogna tornare a farci le domande sul senso delle nostre vite. Altrimenti, se il nostro pensiero e i nostri cuori non sono sintonizzati sul quello che nobilita e valorizza le nostre esistenze rischiamo di finire – noi uomini che scendiamo da Gerusalemme a Gerico – vittime di quei briganti che ci vogliono denudare, derubare, dissanguare e lasciare mezzi morti. Ma né mezzi morti, né mezzi vivi a noi basta. Noi a Gesù chiediamo: cosa fare per avere la vita eterna!? A partire da adesso.
E il tuo obiettivo, qual è?
(Questa settimana proviamo a rispondere, dall’intensità della risposta dipende l’intensità della nostra vita)