SOLENNITÁ DEL CORPUS DOMINI

DIVISI PER  MOLTIPLICARSI

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Non è facile parlare di Eucarestia, la stessa cosa, da sempre, dai tempi immemori degli antagonisti di Gesù che si chiedevano come potesse Gesù dare la sua carne da mangiare. 

Mangiare Gesù, però,  non è un atto di cannibalismo. Mangiare significa NUTRIRSI, significa ACCOGLIERE COME PRINCIPIO, significa MASTICARE (nel senso di elaborare, sminuzzare e riconoscere) la vita di Gesù e la sua umanità: queste sono il suo corpo e il suo sangue. Come corpo e sangue di un papà e di una mamma sono il loro amore, la loro accoglienza reciproca, la capacità di generare, mettere al mondo e crescere quanto hanno generato. Il contrario del possesso e la capacità di dono incondizionata. 

É bellissimo quello che dice Gesù: “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue HA la vita eterna”. Non si tratta di aspettare la morte per vivere in eterno, ma di permettere a Gesù, che è la Vita, di abitare le nostre vite per dare un volto nuovo al nostro presente e rivitalizzare così, continuamente, le nostre parti isolate e morte. Un nutrimento che diventa uscita, amore, come quel giorno in cui cinque pani e due pesci divisi – a partire dalla piccolezza di un bambino e del suo generoso altruismo –  diventano infinita moltiplicazione di vita. 

E se questa settimana provassimo a vivere un amore così? Senza aspettarci nulla indietro e in cambio, e totalmente affidati al “moltiplicatore di vita” che si chiama Gesù?  

Sono certo che avremo delle belle sorprese … saremo … nutriti e nutrienti! 

FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITÁ

ESISTERE É COESISTERE 

 

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

 

Ermes Ronchi, in un suo commento a questa festa scrive: “Il primo male ricordato dalla Bibbia non è il peccato dell’albero proibito; c’è un male più antico ancora, più originale del peccato originale. É Dio stesso a dichiararlo: NON É BENE CHE L’UOMO SIA SOLO. É male che Adamo sia solo: primo male del cosmo e del cuore è la solitudine. Neanche Dio può stare solo, è Trinità, legame d’amore, nodo di comunione”. 

In questo modo comprendiamo che questa solennità non è enunciazione di un Teorema, ma festa di un fatto, che se Dio si è fatto come noi, noi, per diventare come Lui, dobbiamo diventare come un legame d’amore tra un Padre, un Figlio e uno Spirito Santo, un legame d’amore tra un papà, una mamma e un figlio: il Padre dei cieli, lo Spirito Santo grembo fecondo di semi di Parola e bene-dizione del senso della vita, e un Figlio, uno che viene generato dall’incontro fecondo di Dio con il suo Respiro che non ci lascia mai. A patto di farlo re-spirare in noi per farlo diventare forza, luce e coraggio.  Vorrei  allora sottolineare tre bellissimi verbi che, nel Vangelo di domenica, dicono la sola intenzione buona di Dio nei nostri confronti e che, sovente, ci dimentichiamo di pensare come identità della sua verità che ci libera: DONARE, SALVARE, LIBERARE: 

  1. DIO HA TANTO AMATO IL MONDO DA DARE IL FIGLIO. Può suonare strano che il Signore dei cieli doni suo figlio, anche perché amare significa lasciare liberi, e tu non puoi trattare tuo figlio come un oggetto, e neanche come un dono. L’amore di Dio, però, è il consenso al Figlio di essere, con la sua vita e con la sua libera decisione, la manifestazione dell’attendibilità del Padre a essere sempre e soltanto datore di vita … a costo di morire pur di dire una cosa del genere, al costo di finire addirittura sulla Croce. E questo … ferisce molto, non solo il Figlio, ma anche chi lo ha generato. “In Lui noi siamo stati salvati”. Finalmente, in Gesù diventa chiaro un fatto: non siamo fatti per la fine, ma per essere senza fine! 
  2. DIO NON HA MANDATO IL FIGLIO PER CONDANNARE IL MONDO, MA PERCHÉ IL MONDO SIA SALVATO PER MEZZO DI LUI. Una bella differenza da cosa sovente pensiamo. Una dichiarazione che mette al bando e cancella tutte le velleità vendicative e bellicose di Dio. Non è Lui che ci condanna, Lui ci libera e basta. Non è Dio che ci manda all’inferno, siamo noi che lo creiamo e ci sguazziamo dentro. Il Signore è sempre e soltanto la vita che vince la morte.
  3. CHI CREDE IN LUI NON É CONDANNATO. Il Padre, allora, non condanna nessuno, ci autocondanniamo noi …  Chi  non vuole condannarsi, invece,  è libero. Cammina con il cuore illuminato e luminoso per le strade del mondo. Capisce che la verità che è Gesù è l’unica verità che fa liberi, che dona forza e riapre sentieri.

PENTECOSTE 2023

“POI É ARRIVATO QUALCOS’ALTRO”

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Poi è arrivato qualcos’altro, qualcosa che è cambiato e ha rivoluzionato la mia vita fino a oggi. Sono arrivato alla Bibbia per la prima volta … Avevo predicato spesso, avevo visto molto della Chiesa, ne avevo parlato e scritto – eppure non ero ancora diventato un cristiano”. A scrivere queste parole è un grande teologo protestante, Dietrich Bonhoeffer, un uomo illuminato, un’intelligenza comunicativa e piena di grazia che a un certo punto della vita, dopo avere scritto, pensato, prodotto testi molto elevati e avere fatto una marea di conferenze e omelie, si accorge di un piccolo particolare: non era mai diventato cristiano. Diventato, perché cristiani non si è mai definitivamente, ma si diventa tali quotidianamente, alla scuola della Parola di Dio. Alla scuola di Cristo, che è la Parola – Comunicazione del Padre per tutti i suoi figli che siamo noi … e dunque suoi fratelli.  

La stessa cosa mi pare che capiti nel Vangelo di oggi. I discepoli dopo avere incontrato il Risorto possono finalmente dire di essere “diventati altro” perché hanno ricevuto un dono: lo Spirito Santo. E qual è il compito costante e continuo dello Spirito Santo? INSEGNARE e RICORDARE la Parola, ossia insegnare e ricordare Gesù Cristo, farci diventare SUA memoria vivente, che come il pane e il vino si è affidato alle nostre mani con l’invito di “FARE IN MEMORIA DI LUI” … Noi siamo questa costante memoria. E dove possiamo incontrare il CONTENUTO DELLA MEMORIA? Solo in un posto: la Parola di Dio. Cosa piuttosto disattesa da parte nostra, ma precipua, fondamentale e insostituibile: “RICEVETE LO SPIRITO SANTO!” … “RICEVETE IL RESPIRO DELLA SCRITTURA!”: Quanto la memoria della Parola informa la nostra vita? Quanto ne siamo emanazione e frutto? 

Solo una volta che si è ricevuta la consapevolezza del mandato allora anche i discepoli partono, diventano missionari di una testimonianza di diversità che diventa credibile perché vissuta con la vita, in prima persona. Non mi stancherò mai di pensarlo: la nostra testimonianza non siamo noi che parliamo della nostra vita, ma la nostra vita che parla di noi, e parlando di noi parla di altro, perché noi, in realtà, siamo quello che c’è dentro di noi, e quello che c’è dentro di noi dovrebbe essere la scelta accurata e voluta di quanto ci vivifica. “Je est un autre”, diceva Rimbaud. Gesù diceva: “le mie parole non le dico io, ma parla in me il Padre mio” … E io? Che cosa mi abita? Cosa mi accende? Cosa mi fa essere quello che sono? Io sono l’io della mia desolata solitudine oppure, come Bonhoeffer, non sono ancora diventato cristiano (Cristo abita in me, diceva san Paolo)? 

Dobbiamo fare una piccola revisione del motore della nostra macchina esistenziale: “Gesù venne, stette in mezzo e disse Pace a voi! “. Assenza di pace, allora significherà assenza della centralità del figlio di Dio nella mia vita. Perché il “luogo” di Gesù è “stare in mezzo”, ossia in un punto equi-visibile e equi-raggiungibile per tutti. Ma ancora di più. il posto di Gesù è IL CENTRO: come il Regno di Dio: non è una cosa che si vede ed esplode come un fuoco artificiale, ma la manifestazione della sua accoglienza al centro della nostra vita. Io, ce l’ho la pace nel cuore? Se no, perché? 

ASCENSIONE DEL SIGNORE

SALIRE IN BASSO

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

 

Nella nostra meravigliosa lingua italiana a volte adoperiamo delle espressioni che non sono del tutto corrette e coerenti, per esempio diciamo “esci fuori”, oppure “entra dentro”, o anche “scendi giù” e “sali su” … ma, mi domando io, perchè rafforzare un verbo che contiene pienamente in sè, senza altre spiegazioni, la direzione che vuole esprimere? Non si può uscire dentro, neppure entrare fuori, oppure scendere di sopra, il maestro mette subito una correzione con la matita rossa e ti dà un bel quattro! Invece, per il Vangelo, si può SALIRE IN PROFONDITA’, si può ASCENDERE IN BASSO, perchè proprio questo è stato uno degli ultimo atti del Signore Gesù che danno al Vangelo quel meraviglioso senso del realismo che soltanto l’umanità mortale del Figlio_Risorto poteva conoscere pienamente.

Gli Undici tornano nella Galilea del loro innamoramento del Maestro e dei primi passi fatti nell’aura del “primo amore” che non si scorda mai, e questo è già importante perchè è la commemorazione della Sorgente inesauribile delle loro decisioni. Ma dopo essersi prostrati davanti al Risorto, nel loro cuore DUBITANO: e cosa fa Gesù? Anzichè allontanarsi da quella manica di “ignorantoni” SI AVVICINA ulteriormente per conferire loro il potere donatogli dal Padre. D’altronde la testimonianza è una vita che si racconta, non il racconto di una vita: e allora come faresti ad annunciare il Vangelo in modo credibile se tu per primo non avessi sperimentato di essere colui che ha fatto esperienza di guarigione, di perdono, di speranza e di infinito incoraggiamento da parte di Gesù? E’ credibile di noi solo quello che crediamo! Allora partiamo, andiamo immergendo i nostri incontri con gli altri nel nome di un Padre, di un volto umano che è quello di Gesù, di un soffio vitale che è quello dello Spirito Santo, lasciamo segni di amore che dicano tutto il nostro desiderio di continuare a credere a questa sola forza che rende la vita più degna di essere vissuta e più coerente con il senso della  creazione. Non siamo soli, Gesù è SALITO DENTRO DI NOI, e non ci abbandonerà, fino alla fine dei giorni!

 

 

SESTA DOMENICA DI PASQUA

FIGLI NELLO SPIRITO

Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama.
Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui». 

 

Perdere il Signore,  Dio, il Riferimento di senso nella nostra vita è una delle cose più tristi per noi. I discepoli stessi, che ragionavano esattamente come noi, erano angosciati di perdere Gesù, il loro Rabbì, il loro amico e la loro vita. Grande e bella la rassicurazione ricevuta: “io non vi lascerò soli, vi manderò il mio Spirito, per rimanere sempre insieme a voi!”. É un po’ difficile riuscire a credere le parole di Gesù, perchè noi siamo abituati a vivere di “visibilità e concretezze”. Come facciamo a vedere ciò che non si vede? La risposta è chiara: dobbiamo rimanere nello Spirito e Lui rimarrà in noi. La presenza di Gesù non passa più attraverso la constatazione di quello che viene mediato dai nostri sensi, ma accade a partire dalle nostre scelte e dal nostro desiderio di vivere “secondo lo spirito” che ha animato il Signore, e non solo, ma anche con lo stesso Spirito di Dio che è la presenza di Gesù oggi nelle nostre vite.

Noi lo riceviamo continuamente: la mattina iniziamo la giornata nel Suo Nome quando facciamo il segno di croce; ogni domenica andando a Messa lo riceviamo quando ascoltiamo la Parola e quando ci nutriamo di quel pane che è Gesù stesso, che ci rende offerta di Vangelo per il mondo; tutti i Sacramenti ci fanno vivere dello Spirito di Dio; ogni volta che chiudiamo gli occhi e lo invochiamo con tutto il cuore, Lui c’è, è qui “presso di noi e in noi”. Non siamo orfani. Non è facile, lo so. Ma più che altro, non è molto realizzato nella vita, perchè a volte ci limitiamo a esprimere i nostri legami con il Signore in maniera molto blanda e superficiale, oppure come una consuetudine e non una sostanza. Non dobbiamo avere timore di aprirGli il cuore e la mente. Di vivere la sua presenza come una consapevolezza continuamente rinnovata e desiderata. Insomma, di vivere il dono della sua presenza che Egli continuamente ci fa e non viene mai meno. Perchè se questo è garantito da parte sua, non è sempre realizzato da parte nostra, che sovente sappiamo che al di là della porta c’è un Signore che ci bussa, ma non sempre siamo disposti a farlo entrare.

A volte ti dicono: “tu hai avuto il dono della fede, io no”. É una frase sbagliata. Il dono della fede lo abbiamo tutti, se così non fosse non sarebbe un dono, sarebbe qualcosa solo per qualcuno. La diversità è vivere o no un dono che ci viene fatto. Come se mi facessero un regalo ma io lo metto nello sgabuzzino o non lo apro mai. Può essere il regalo più bello del mondo, ma è l’interazione, il mettersi in relazione, l’iniziare il gioco della sorpresa del contenuto, il desiderio di sapere che novità porterà alla mia vita, insomma, il mio VIVERE il dono, a fare la differenza. Tutto lì. Semplice, ma difficile, molto complesso nel sistema di vita e delle nostre teste. Non dobbiamo avere timore! Ogni giorno piccoli spazi in più, piccoli varchi ampliati di ospitalità della luce di Dio nel nostro cuore e nella nostra mente attiveranno un’intensificazione continua della percezione che ogni volta che dono qualcosa di mio al Signore ricevo finalmente me stesso … e il centuplo, in ogni cosa.  CREDERE PER VEDERE!