IL GRUPPO GIOVANI E LA PACE
“VIVETE IN PACE CON TUTTI”
Avrete tutti notato il bellissimo medaglione di legno che da poco tempo abbiamo messo accanto al portone della Chiesa, frutto della collaborazione ideativa del Gruppo Giovani, che l’ha pensato e disegnato, e Arturo e Gigi insieme agli amici del presepe che lo hanno realizzato . Il Gruppo Giovani del Divin Maestro ci tiene a sottolineare il proprio diniego assoluto e totale alla guerra e a ogni forma di violenza e lo vuole fare attraverso questo “segno”, che si spera possa essere un monito per vivere delle azioni concrete ed elevare nella preghiera pensieri di pace per tutto il mondo.
Pace che, ci siamo detti ieri sera all’incontro del Venerdì, significa: PERMETTERE AGLI ALTRI DI ESSERE, ACCETTARE LA DIVERSITÁ E ACCETTARE SE STESSI, FARE OPERA DI INCLUSIONE, ACCOGLIERE, PROTEGGERE E FARE SENTIRE AL SICURO, INTERVENIRE, RI-NASCERE, PERDONARE CHI TI HA FATTO DEL MALE, PORTARE GIOIA AL MONDO, AIUTARE, ESSERE AMORE e, per concludere con una citazione classica riportata da Simon, “ANCHE SE IL TIMORE HA PIÚ ARGOMENTI, TU SCEGLI SEMPRE LA PACE“.
Grazie, ragazzi!
RITROVARE L’IMMAGINE PERSA
XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Ci sono delle domande alle quali non avremo mai una risposta, come quelle che vengono poste per “cogliere in fallo” e per “mettere alla prova”. A rigor del vero, se la lingua che parliamo è precisa non dovremmo neanche chiamarle domande, quelle poste nel Vangelo di domenica, ma trabocchetti. Questi sono talmente subdoli che per essere fatti non coinvolgono neppure direttamente gli ideatori (i farisei), ma vengono fatte per conto terzi, dai discepoli e dagli erodiani: come dire diavolo e acqua santa, che per esperienza non vivono molto bene assieme. Ma si sa che quando due persone nemiche hanno un nemico in comune diventano facilmente amiche e alleate.
Ad aggravare la tendenziosità della pseudo-domanda è un altro fatto: viene posta a partire da una sentenza di adulazione.
Insomma, le cose non sempre corrispondono a quello che vediamo e vivono di quel maledetto vizio che ci fa pensare che il controllo e il possesso ci rendono signori di tutto, ma così non è. Tanto meno con il Signore Gesù che è vero SIGNORE E MAESTRO DI LIBERTA’ e non oggetto manipolabile o eliminabile a piacimento.
La libertà però è tale perchè è LIBERATA, operazione che ci dimentichiamo di fare troppo sovente. Liberata da cosa? Anzitutto dal sequestro alla sua verità, come la nostra vita. E per riottenerla Gesù propone di RESTITUIRLA alla sua sorgente, ossia a quel Creatore, di cui Lui è immagine totale e definitiva, nel quale è stata pensata e creata. A ognuno il suo. A Cesare le cose di Cesare, a Dio le cose di Dio, ossia il volto vero dell’uomo. Solo a partire da quella ORIGINE avremo la possibilità di riconquistare tutta la nostra ORIGINALITA’, che non è l’esercizio di una fantasia anarchica e priva di radici, ma il recupero attento del nostro vero IO.
Non è facile, chiaramente, per questo Paolo loda i cristiani di Tessalonica per il triplice impegno in grado di mantenerli in Gesù e nel Signore: l’OPEROSITÁ DELLA FEDE, la FATICA DELLA CARITÁ e la FERMEZZA DELLA SPERANZA. Si può dire che fede e operosità vanno a braccetto, perchè non esiste una fede che non produca un volto umano e una terra nuova, non esiste una professione fatta a voce se non si incarna; faticoso è anche amare, forse la fatica più grande perché coinvolge la verità più vera del cuore che è la certezza che siamo nati per volerci bene e troppo spesso non mettiamo in atto questa sapienza del cuore, lo s-cordiamo, ossia togliamo dal cuore questa certezza che può mantenerci in vita, come singoli e come umanità (vedi infatti cosa succede ogni giorno nel mondo. Lo scorso aprile 2023 secondo una ricerca dell’Università di Upsalla in Svezia, emergeva un dato inquietante: nel mondo c’erano 170 conflitti in atto … ); infine la fermezza della speranza, quella forza nella quale tutti siamo salvati e rende possibile il cammino nonostante le battute di arresto e gli spaesamenti continui.
Non abbiamo paura! Oggi il Signore ci rimette in piedi. Smascherando la malizia dei suoi accusatori ci riconsegna la bontà di un annuncio che ci rende “a immagine e somiglianza” del volto di Dio e soprattutto concretizzazione di quanto scritto nel suo Vangelo. Scrive don Alessandro Deho, in un suo intelligente commento alla pagina di oggi, che nel versetto immediatamente successivo al testo usato dalla liturgia c’è scritto che questi uomini lasciarono Gesù pieni di meraviglia. Che abbiano scoperto anche loro di avere trovato LA verità e non semplicemente la contraffazione e la manipolazione di piccoli uomini farisei che si servono di Dio schiavizzando le persone?
Buona settimana! Buona continuazione della ricerca della nostra vera immagine nell’immagine del Signore!
INCONTRO SULLA PAROLA DI DIO
Appuntamento stasera, giovedì 19 ottobre, alle ore 21,00
https://meet.google.com/bow-ubtc-jao
XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
CAMBIAMOCI!
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 22,1-14
In quel tempo, Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Cosa c’è all’inizio del senso di una vita di relazione significativa con Dio? La consapevolezza di essere invitati a una festa. Nè moralismi. Nè pretese di chissà quale tipo. Nè gare di obliterazione del biglietto per il paradiso perchè “non si sa mai”. Nè il subire il peso di un fardello di tipo stoico sacrificale. Ma una festa, festa di nozze! É chiaro, però, che per partecipare a un festa di nozze viene richiesto un requisito irrinunciabile: andarci!
Sembra stupido dire queste cose, ma a volte capita proprio così. Arriviamo ai punti di partenza con tutte le preparazioni immaginabili per fare cosa? Tornare indietro! Non partire mai: “quelli non se ne curarono” … Capita quando celebri un sacramento, quando vai messa la domenica ma non fai memoria di quell’incontro, quando hai sentito il cuore ardere nel tuo petto alla lettura di un versetto del Vangelo e lo congeli immediatamente. E magari se senti che qualcuno ti viene di nuovo a invitare attraverso un gesto di amore, una parola di amicizia, il racconto di un senso possibile della vita, la tua reazione è: “presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero”. Lo facciamo anche noi, tranquilli, non ci scandalizziamo troppo.
Eppure il padrone rilancia. Voleva invitare molti e continua a chiamare TUTTI! A partire dai CATTIVI per finire con i BUONI … e la sala si riempì di commensali.
Alla fine poi si tratta di accorgersene, perchè l’abito delle nozze non è la non accettazione di qualcuno che non ha i soldi per comperarsi un completo di seta o di cachemire, ma la consapevolezza della posta in gioco: non farti mai sfuggire di mano l’importanza di quell’invito, dell’alleanza che celebra un compimento significativo per te, non rendere vano il sogno di Dio di consegnare alle tue mani il senso del mondo, perchè quando non si costruisce si distrugge, e tutto diventa irreversibile. No!
Fuori da quel grande desiderio. Fuori dal senso di una vita compiuta. Fuori dalla consapevolezza di essere quello che può fare la differenza nel mondo perchè spera e crede ancora nell’amore, nella vita, nella pace, e vuole trasformarsi in queste parole, che a volte si pronunciano con un’enfasi inversamente proporzionale al nostro desiderio di “indossarle”, … non si dà altro che assassinio, città bruciate, mani e piedi legati, perchè non sanno cosa fare e non sanno dove dirigersi, e buio, tanto buio nel cuore che non ci fa arrivare da nessuna parte.
Bisogna avere tanta fantasia o basta guardare le immagini che i giornali e i TG stanno mostrando ai nostri occhi in questi giorni?
Meglio accettare l’invito alla festa. Felice festa!
INCONTRO SULLA PAROLA DI DIO
Stasera, giovedì 12 ottobre, alle ore 21,00
https://meet.google.com/ume-nmre-qkg
XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO, A
IMMOTIVATA, UNILATERALE, ASIMMETRICA …
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
La parabola è insieme cupa e trasparente: la vigna è Israele, il mondo, sono io. Vigna che produce uva selvatica, in Isaia; una vendemmia di sangue, in Matteo. Io sono vigna e delusione di Dio. La parabola è dura, e corre verso un epilogo sanguinoso, già evidente nelle prime parole dei vignaioli, insensate e brutali: “ Costui è l’erede, uccidiamolo e avremo noi l’eredità!” Ma è anche una fessura sul cuore di Dio: Gesù amava le vigne, come già i profeti, lo si capisce fin dalle prime battute: un uomo, con grande cura, piantò, circondò, scavò, costruì.
Gesù osserva l’uomo dei campi, il nostro Dio contadino: lo vede mentre guarda la sua vigna con gli occhi dell’innamorato e la circonda di cure. Poi i due profeti intonano il lamento dell’amore deluso: “il custode si è fatto predatore” (Laudato si’), ma al tempo stesso raccontano la passione indomita del Dio delle vigne, che non si arrende, che non è mai a corto di meraviglie, che per tre volte, dopo ogni delusione, fa ripartire il suo assedio al cuore, con nuovi profeti, nuovi servitori, addirittura con il proprio figlio. Che cosa potevo fare di più per te che io non abbia fatto? Parole di un Dio appassionato e triste, che continua a fare per me ciò che nessuno farà mai. Fino alla svolta del racconto: alla fine, che cosa farà il signore della vigna? La risposta dei capi è tragica: continuare nella stessa logica, uccidere, eliminare gli omicidi, mettere in campo un di più di violenza. Vendetta, morte, ancora sangue. Ma non succederà così. Questo non è il volto, ma la maschera di Dio.
La parabola non si conclude nel disamore o nella vendetta, ma su di una fiducia immotivata, unilaterale, asimmetrica perché tra Dio e l’uomo le sconfitte servono solo a far risaltare di più l’amore. La vigna di Dio sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. E allora inizierà da capo la conta, e il rischio, della speranza. Così è il nostro Dio: in Lui il lamento non prevale mai sul futuro. Un popolo c’è, un uomo c’è, di certo sta nascendo, forse è già all’opera, chi sa farla fruttificare. Ci sono, stanno sorgendo, in mille piccole vigne segrete, dei coltivatori bravi che custodiscono la vigna anziché depredarla, che mettono il proprio io a servizio dell’umanità, anziché gli altri a servizio della propria vita. Sono i custodi del nostro futuro. Sanno produrre quei frutti buoni che Isaia elenca: aspettavo giustizia, attendevo rettitudine, non più grida di oppressi, non più sangue. Il profeta sogna una storia che non sia guerra di possessi e battaglia di potere, ma sia vendemmia di giustizia e pace, il volto dei figli di Dio non più umiliato. Il Regno comincia con questi acini di Dio, come piccoli grappoli di Dio fra noi. (Ermes Ronchi)
INCONTRO SULLA PAROLA DI DIO
XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – A
AL LAVORO!
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli». (Mt.)
La vigna del Signore si chiama così perché appartiene a Lui. É quella dove anzitutto lavora Dio, che, come ogni buon contadino, desidera solo che “porti molto frutto!”, ossia, che NOI portiamo molto frutto. Che bello sapere questo. Lavorare nella vigna, allora, non significherà anzitutto fare qualcosa per Dio e lavorare per Lui, ma permetterGli di lavorarci. Perché il frutto nasce dal fatto che permettiamo a Dio di “mettere le mani” su di noi per potare le foglie che risucchiano inutilmente la linfa e valorizzare, curandoli, quei tralci che possono essere fruttiferi. E Dio sembra avere uno sguardo proprio così: attento alle possibilità, al futuro, al nostro metterci a disposizione nonostante tutto, anche se a volte ci sembra faticoso, impossibile e troppo gravoso. Esattamente come il figlio svogliato che risponde di NO ma poi parte, va a lavorare, e “compie” la volontà di Dio. Questo vuol dire CONVERTIRSI, RICOMINCIARE, fidarsi di gesti e pensieri più grandi delle nostre forze, delle nostre illusioni, delusioni e delle nostre pigrizie.
Quando e come permetto a Dio di lavorare nella mia vita? Quanto tempo pieno di consapevolezza gli dedico affinché la mia sia una vita fruttifera?
Ma … per noi cosa significa lavorare in questa vigna? Permettere alla Parola di Dio di diventare l’appassionante benzina del motore del nostro cuore e delle nostre mani.
Allora, con molta semplicità la Parola di Dio oggi ci dà 2 suggerimenti da vivere durante la settimana:
- Fare vivere noi stessi allontanandoci dal male, come ci suggerisce il Libro del Levitico … Anche Gesù nel Vangelo ci dice che “pentimento e conversione sono proprio la pienezza, sono la vera forma della santità. Il santo non è colui che ha terminato di convertirsi, ma chi ogni giorno si pente e si converte. Ogni giorno è così attento da vedere le lentezze della propria fede e del proprio amore, ma coglie pure la forte speranza che Dio ha verso di lui. A motivo di questa incomprensibile divina stima è toccato, si pente e si mette a lavorare anche quando gli verrebbe da dire “non ho voglia”, o “non ho più voglia”, o “intanto non cambia niente”” (Pagazzi) . Ci allontaniamo dal male … per vivere, far vivere e ritrovare il destino buono dei nostri cammini. / Sono consapevole di quanto le mie azioni dipendano dal male o dal bene? So chiamare il peccato (tutto ciò che mi allontana da Dio, dagli altri e da me stesso) con il suo nome?
- “Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso” scrive San Paolo. A me viene in mente un’altra sua espressione, assai liberante: “gareggiate nello stimarvi a vicenda!” … L’esagerata autoritorsione su noi stessi a volte ci impedisce di cogliere quanti doni, quante cose buone ci chiamano, quante esperienze costruttive ci fornisce la vita. Uscire da noi per accorgersi di questo è un grande respiro di liberazione. Dire grazie a chi lavora per noi in modo incondizionato e gratuito. Stimare ogni piccola cosa che gratuitamente ci riempie il cuore di felicità è il primo scalino per il recupero della strada di un’umanità grata, operosa e fraterna. / So dire grazie? A chi devo dirlo? Cosa farò questa settimana per esprimere la mia gratitudine? Buon cammino settimanale!
I HAVE A DREAM 2023 / 2024
Per chi desidera, è stata aggiornata la pagina I HAVE A DREAM (edizione 2023/2024)