SECONDA DOMENICA DI AVVENTO

CAMMELLI, API E LOCUSTE

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Giovanni Battista lo conosciamo bene, conosciamo la sua determinazione, la sua ferma condanna delle ingiustizie, la sua incisività a bacchettare senza guardare in faccia nessuno e il suo dire con estrema chiarezza il nome del bene e del male e la necessità di cambiare e convertirsi. É però interessante considerare anche un altro aspetto della sua vita, ossia la sua dieta e il suo “armadio”, perchè in fondo sono il suo modo di “stare al mondo”. Sappiamo che lo stile è un contenuto, gli abiti di pelle di cammello sono rivelativi. Il miele selvatico prodotto dalle operose api selvatiche e la dieta a base di cavallette (che sembra essere una rivelazione delle ultime scoperte riguardo a questi insetti che contengono chitina e altre fibre che farebbero bene alla fauna batterica dell’intestino) ci parlano dei nostri amici del mondo animale che, simbolicamente, hanno da dirci qualcosa sul nostra capacità di  attendere sempre da capo la possibilità delle nostre quotidiane rinascite nell’unica e irripetibile nascita di Gesù! 

Il cammello. Simpatico questo grande mammifero segno di resistenza e di tenacia, capace di percorrere e coprire grandi distese nonostante il clima avverso, e soprattutto con riserve di cibo ed energia nella sua grande gobba. Gesù dice che è più facile che un cammello entri nella cruna di un ago che un ricco nel Regno dei cieli. E se ci facessimo interpellare, nel nostro cammino di avvento, da questo mammifero, che mi questiona sulla mia capacità di “resistere”, di “mettere da parte nutrimenti importanti per il cammino” per renderci agili al punto di attraversare anche le situazioni più impervie, come la piccola cruna di un ago? 

Le cavallette e l’ape, invece, mi piace pensarle insieme: da una parte il caro insetto operoso e produttore di dolcezze, a dell’altra la distruttiva cavalletta che nella Bibbia veniva paragonata ai grandi eserciti nemici di Israele per la sua capacità di dilaniare estensioni immense di raccolti. Mi piace pensare il loro abbinamento come un segno di capacità di mettere insieme gli aspetti più distruttivi con quelli più buoni e organizzati delle nostre vite. Questo è profetico! Non siamo immacolati automi a senso unico, ma un coacervo di storie fatte di tanti lati diversi che si intrecciano tra loro. La santità non è l’unilaterale esaltazione delle nostre virtù, ma l’armoniosa elaborazione degli aspetti opposti che abitano le nostre vite che trovano una sintesi diversa e nuova in Colui, che ancora in questo Avvento, per chi lo accoglie, non mancherà di aprire nuove strade nel deserto. 

PRIMA DOMENICA DI AVVENTO

PORTINAI SOLERTI … 

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 13,33-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

L’Avvento è come una porta che si apre, un orizzonte che si allarga, una breccia nelle mura, un buco nella rete, una fessura nel soffitto, una manciata di luce che la liturgia ci getta in faccia. Non per abbagliarci, ma per svegliarci. Per aiutarci a spingere verso l’alto, con tutte le forze, ogni cielo nero che incontriamo. «Al di là della notte ci aspetterà spero il sapore di un nuovo azzurro» (N. Hikmet). Il Vangelo oggi racconta di una notte, stende l’elenco faticoso delle sue tappe: «non sapete quando arriverà, se alla sera, a mezzanotte, al canto del gallo, o al mattino» (Mc 13,35). Una cosa è certa: che arriverà. Ma intanto Isaia lotta, a nome nostro, contro il ritardo di Dio: ritorna per amore dei tuoi servi… se tu squarciassi i cieli e discendessi.

Non è l’essere umano che dà la scalata al cielo, è il Signore delle Alleanze che discende, in cammino su tutte le strade, pellegrino senza casa, che cerca casa, e la cerca proprio in me. Isaia capovolge la nostra idea di conversione, che è il girarsi della creatura verso il Creatore. Ha la sfrontatezza di invocare la conversione di Dio, gli chiede di girarsi verso di noi,ritornare, squarciare i cieli, scendere: di convertirsi alle sue creature.

Profezia del nome nuovo di Dio. Finisce la ricerca di Dio e inizia il tempo dell’accoglienza: ecco, io sto alla porta e busso…
«Le cose più importanti non vanno cercate, vanno attese» (S. Weil). Anche un essere umano va sempre atteso. Ci sembra poca cosa, perché noi vogliamo essere attivi, fare, costruire, determinare le cose e gli eventi. Invece Dio non si merita, si accoglie; non si conquista, si attende. Gesù nel Vangelo di questa domenica non si stanca di ripetere il ritornello di due atteggiamenti, nostro equipaggiamento spirituale per il percorso dell’attesa: state attenti e vegliate (Mc 13,33.35.37). L’attenzione ha la stessa radice di attesa: è un tendere a…

Tutti abbiamo conosciuto giorni in cui la vita non tendeva a niente; sappiamo tutti cos’è una vita distratta, fare una cosa ed avere la testa da un’altra parte; incontrare una persona e non ricordare il colore dei suoi occhi; camminare sulla terra e calpestare tesori di bellezza. Distratti. L’amore è attenzione. L’attenzione è già una forma di preghiera, ed è la grammatica elementare che salva la mia vita interiore. 

Il secondo atteggiamento: vegliate. Non permettete a nessuno di addormentarvi o di comprarvi. Vegliate sui primi passi della pace, della luce dell’alba che si posa sul muro della notte, o in fondo al tunnel di questa pandemia. Vegliate e custodite tutti i germogli, tutto ciò che nasce e spunta porta una carezza e una sillaba di Dio. (Padre Ermes Ronchi) 

CRISTO RE DELL’UNIVERSO

“GIUDICATI SULL’AMORE”

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 25,31-46

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

C’è un Regno, ossia un modo di essere signori, uno stato delle cose diverso da quello che siamo abituati a vedere tutti i giorni alla TV. É un Regno dove tutti gli affamati trovano del cibo per la loro vita, dove gli assetati finalmente bevono, gli stranieri sono accolti – ma magari non ne hanno bisogno perchè si trovano a casa in qualunque luogo si trovino – i malati sono curati con amore e dedizione e i carcerati in mille luoghi e situazioni di vita trovano parole di riscatto, libertà ed emancipazione. É il Regno che si crea ogni volta che si crede all’amore e che, nella mente di Dio, è stato creato fin dalla fondazione del mondo. Un Regno (condizione) che per un cristiano viene avvalorato e sostenuto dal riferimento a Gesù, e per chi non crede e non conosce il Signore, accade ogni volta che il più piccolo gesto di amore del mondo viene fatto nei confronti della più piccola, indifesa e non riconosciuta creatura della Terra. Ed è un Regno di stupore, che non ha bisogno di motivazioni teologiche, che non è alimentato da logiche retributive, ma vive nel fondo di ogni cuore che cerca di onorare il senso della propria umanità, rispecchiandosi in quanto c’è di comune per ogni creatura vivente. Partendo dalla minima percezione che se io soffro quando non mi nutro e non bevo, batto i denti se non mi posso coprire, mi dispero nella solitudine delle mie prigioni, così, esattamente, capita esattamente a tutti. E il Regno di Dio diventa la signoria di una sensibilità gentile, umanizzante e capace di aprire nuovi sentieri di possibilità di vita per tutti. Quante possibilità! Quante modi! Quante sensibilità da realizzare: la mia, la tua, ognuno ha avuto in dote dalla vita delle doti particolari da sviluppare: non dobbiamo avere paura di farlo. A partire dalle situazioni che ci circondano! 

Cosa mi dice di fare il mio cuore e il mio Signore nel mondo in cui vivo, davanti ai bisogni delle altre persone? 

Inoltre mi pare che il Vangelo oggi ci stia dicendo che IL REGNO DI DIO SI REALIZZA SOLO DOVE C’É SPAZIO PER I FRATELLI. Quante spiritualità fumose e inconsistenti abbiamo vissuto nel corso della storia. Quante preghiere dette con la bocca ma totalmente staccate dal cuore e dalle mani. Momenti inutili, sprecati. Se Gesù si è incarnato l’ha fatto per ricordarci che il luogo dove si esprime la sua signoria è e sarà sempre e soltanto la carne, ossia la nostra concretezza, la nostra storia e il nostro vissuto. Mani che si sporcano, perché si sono immerse nella terra. Mani con delle piaghe perché sono state ferite perché si è creduto nell’amore. Mani nodose, con dei calli, perché hanno sempre dato vita. Non certamente come quelle di quel tale che presentandosi in paradiso dice a San Pietro: “guarda che belle, bianche, immacolate” ma si sente rispondere: “sì, ma anche vuote!”. 

Come uso le mie mani per professare la mia fede nel Vangelo? 

E infine non scordiamo mai che i bisogni del Vangelo riguardano anche noi e non solo gli altri! Se non riusciamo a riconciliarci e a realizzarli non possiamo neanche donare agli altri. 

Qual è la mia sete, la mia fame, quando mi sento “incarcerato”, esposto a vergogna e tristezza, indifeso? Cosa faccio per “rispondere” a queste necessità? 

COLLETTA ALIMENTARE 2023

“CI SIAMO ANCHE NOI”!

Anche quest’anno  il Gruppo Giovani del Divin Maestro ha partecipato per tutta la giornata della Colletta Alimentare ad accogliere i clienti, distribuire, ringraziare e raccogliere alimenti da destinare al nostro Emporio Alimentare cittadino per le persone più bisognose in questo momento.

Grazie, Ragazzi! É bello vedere che ci sono persone come voi  che si impegnano e credono a quello che fanno con una forte carica di motivazione, sorriso, e anche capacità di dire sempre  “buongiorno!” anche a chi non prendeva la borsa!

Nella foto tre baldanzosi rappresentanti dei quindici che hanno preso parte all’iniziativa!

 

MOLTIPLICARE LA VITA SENZA PAURA

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO, ANNO A

 Vangelo secondo Matteo 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Avverbi di tempo: la prima cosa che stupisce dei primi due servitori operosi è che SUBITO si misero all’opera. Appena considerarono il grande atto di fiducia del signore nei loro confronti si danno subito da fare. Milioni di euro consegnati gratuitamente alle loro mani per essere buoni amministratori anziché infelici possessori di preziosi nascosti. Lo sappiamo, il Vangelo ce lo ricorda continuamente: la vita è un’amministrazione da gestire e non un possesso da custodire pieni di ansia fino al giorno in cui ci verrà sottratto da sorella morte. Che bello se ricominciassimo a considerare i nostri tesori per farli fruttare. Magari si dice: “non è ancora giunto il momento” … il fatidico momento opportuno. Che non esiste! Perché ci sarà sempre un motivo che lo renderà inopportuno. Siamo noi che decidiamo quale sarà. Siamo noi che partiremo dicendo: “è ora!” … e a partire da quell’istante si aprirà un nuovo mondo, quello di chi trova la vita perché non la conserva per se’ ma la impiega e la condivide. 

Qual è quel fatidico momento opportuno che non trovo mai per dare svolta a quella  specifica situazione della mia vita? 

Dalla mancanza alle presenza: E qui i mea culpa li devono fare anche gli educatori alla fede che ci hanno cresciuti a individuazioni di sensi di colpe e riconoscimenti di mancanze. E se invertissimo la rotta? A che servono dei sensi di colpa se non diventano dei trampolini per il cambiamento? A che serve autoflagellarsi e macerare sulle proprie mancanze se prima non riconosciamo ciò che abbiamo e ci è stato donato? L’esame di coscienza andrebbe proprio fatto sulle presenze (non per nulla dono in inglese, in francese e in portoghese – ma chissà in quante altre lingue –  si dice present, presente). E infatti, noi diventiamo un DONO nel momento che SIAMO PRESENTI a noi stessi, perché un dono senza di noi è vuoto! 

Provo a scrivere un elenco con i 5 doni e le 5 sensibilità che sento contraddistinguere la mia vita. Quanto li “coltivo”, quanto diventano un dono per gli altri? 

Dallo sfruttamento alla fruttificazione:  Viviamo una società e in un mondo abituato a sfruttare tutto, se non fa attenzione: l’ambiente, gli amici, le cose, tutto sembra essere livellato su un appiattimento orrendo che non porta da nessuna parte e mercifica le relazioni, il senso delle cose, gli avvenimenti: “ti uso fin quando ho bisogno, poi ti butto”. Io penso che il Vangelo di domenica ci porti a riflettere su quanto siamo capaci di “portare frutto” piuttosto che “sfruttare” la vita, di avere quella sapiente pazienza del contadino, che ci permette di comprendere il senso della vita dandole i suoi tempi e soprattutto permettendole di ammaestrarci con le lezioni che inevitabilmente ogni persona della terra è chiamata ad attraversare e riconoscere per dare vita a un nuovo futuro, per noi e per gli altri. 

Chi/che cosa sto sfruttando e sprecando eccessivamente?