Dal Vangelo secondo Luca
Lc 3,15-16.21-22
In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Le parole che l’apostolo Paolo rivolge al suo discepolo Timoteo non solo illuminano ma pure rischiarano la comprensione del mistero del Battesimo del Signore. La sapienza della Liturgia, non certo a caso, ci fa ritrovare, a conclusione del Tempo di Natale, lo stesso testo che abbiamo ascoltato durante l’Eucaristia della notte:
«quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro e il suo amore per gli uomini» (Tt 3,4).
Oggi al Giordano accogliamo in tutta la sua pienzezza la rivelazione dell’amore di Dio per la nostra umanità. Ciò avviene proprio mentre si squarcia quello spiraglio di «cielo» (Lc 3,21) che la preghiera di Gesù rende ormai non più un ambito chiuso e riservato alla vita divina, ma lo spazio del dono reciproco tra il Creatore e le sue creature. Nel vangelo di Luca la preghiera di Gesù segue il suo discendere nelle acque del Giordano, consacrando questo momento con il massimo di attenzione al Padre e ai fratelli. Il Giordano diventa così, a contatto con il corpo del Signore, vera «acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo» (Tt 3,5).
Assumendo su di sé tutta la nostra storia, non escluso il nostro peccato deposto sul fondale melmoso del Giordano, il Signore apre il suo cuore al Padre parlandogli di noi e il Padre, parlando a Gesù, si rivolge, in Lui e attraverso di Lui, a ciascuno di noi:
«Tu sei il Figlio mio, l’amato» (Lc 3,22).
In un mondo di fratture e di separazioni, il Signore Gesù viene come fratello della nostra umanità accettando di attraversare, con noi e per noi, le acque della sofferenza e della morte fino ad aprire un varco tra cielo e terra. Da questo varco che, nel mistero pasquale, sarà il suo stesso corpo trafitto, ciascuno di noi può ricevere un raggio di quell’amore personale e unico che ci rende figli nel Figlio. Quando il Padre ci riconosce quali suoi figli, ecco che si apre per noi il cammino di una nuova fraternità possibile e di una rinnovata fiducia in Dio, che si rivela in tutta la sua tenerezza e la sua cura:
«Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40,11).
La specifica nota lucana che accompagna i momenti più importanti della vita del Signore Gesù – «ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera» (Lc 3,16) – ci aiuta a comprendere il mistero del Battesimo come l’asse cartesiano della salvezza. Prima di tutto, l’incarnazione del Verbo è il suo modo di essere come noi fino a scegliere di avere «anche» Lui bisogno di ciò che anche noi abbiamo bisogno. La conseguenza di questa assoluta solidarietà non è altro che un assumere su di sé tutti i nostri bisogni per presentarli al Padre nella preghiera. Ci piace concludere le celebrazioni natalizie con un testo della liturgia siriaca: «Rendici degni, Signore, di celebrare e chiudere in pace la festa che magnifica il sorgere della tua luce, evitando inani parole, operando con giustizia, fuggendo le passioni ed elevando lo spirito al di sopra dei beni della terra». Oggi siamo confermati nella nostra divina parentela che ci fa figli di Dio. Possiamo chiederci in che misura la celebrazione di un nuovo Natale ci abbia reso più fratelli e sorelle capaci non solo di accogliere ma pure di ridonare l’amore. (Michaeldavide Semeraro)