Cari amici, come tutti saprete un nostro parrocchiano, Anselme, è congolese.
Ogni estate ritorna nel suo Paese, dove insegna all’Università e cerca, attraverso il suo lavoro, di coscientizzare i suoi alunni e le persone che incontra per vivere in maniera progettuale e propositiva, non nell’ottica assistenziale ma attraverso la consapevolezza di potere costruire qualcosa di nuovo a partire dalle proprie risorse.
Gli ho chiesto di scrivere un diario, qualche riflessione, su questo nuovo viaggio che sarà l’ennesima occasione per approfondire l’importanza della condivisione del proprio sapere e delle proprie competenze al servizio di gente che ha voglia di lavorare e camminare.
Gli siamo vicini, personalmente, e anche come Parrocchia che cerca, attraverso di lui, di sostenere questi progetti così importanti.
Pubblicherò le riflessioni che ci invierà.
Buon viaggio, Anselme!
Don Luigi a nome del Divin Maestro
SABATO 15 GIUGNO
Il laico missionario?
So che vado a realizzare una missione ma anche un pezzo di obbligo che tocca a tutti: restituire trasmettendo. Vado a portare innanzitutto educazione al pensiero critico, costruttivo tra i miei studenti, istruzione sotto forma di occhiali per far vedere loro cosa possono diventare in futuro, cosa possono dare alla loro terra. La missione è anche per me un ritornare in seno a mia madre attraverso le mie sorelle, tra le braccia di mio padre attraverso i miei fratelli, so di andare a sentire dolori acuti per tutto il potenziale che vedrò tra i giovani e gli scarsi mezzi per realizzarsi, la nostalgia che picchia duro realizzare ogni volta che no, mia madre e mio padre non mi aspettano nella nostra vecchia casa… Ma so che il Signore per me, qualcun’altro direbbe destino, mi permette di essere dove vuole che io sia. Allora “In campana” amici miei e che la missione abbia inizio…
Giorno 1 – 16 giugno 2024
Dopo un primo volo Milano Malpensa-Adis Abeba e un secondo Adis Abeba-Kinshasa arrivo finalmente in RDC, Repubblica Democratica del Congo, mia patria di origine.
Mi aspetta in aeroporto Valere, il primogenito di dieci figli, mio fratello maggiore per nascita e mio amico migliore per affinità elettive. In coincidenza col mio volo doveva arrivare mia cognata Dolores, moglie di Valere, medico chirurgo (Interventista umanitaria per le donne con fistola ostetrica), di ritorno dall’est del Congo per missione umanitaria, e il cui volo porta ritardo di oltre un’ora. Comincio a fare l’esercizio più potente e ricorrente che occorre fare in Congo, la pazienza.
Finalmente possiamo riabbracciarla e incamminarci verso casa…
Mio fratello ci concede la grazia di sistemare i bagagli, rinfrescarci, cenare, poi con voce rotta ci mette a parte della morte di un carissimo amico comune, Maître Urbain Babongeno, avvocato dalla carriera folgorante, uomo di rara intelligenza, alla prematura età di 55 anni. Senza bisogno di sollecitarci, nonostante la forte stanchezza, ci dirigiamo a casa della vedova, dove si sta svolgendo la celebrazione dei riti funebri, canti e orazioni. Le lacrime della donna si mescolano alle nostre, l’emozione é tanta, come tanta é la pietà per la vecchia madre del defunto, che ha uno sprazzo di lucidità nelle nebbie dell’Alzheimer e piange senza consolazione quel figlio morto troppo presto.
Ci congediamo e torniamo a casa, l’orologio segna l’una di notte. É la prima volta che tocco letto da venerdì sera, ed é l’una di notte tra domenica e lunedì.
Avrei potuto concedermi il riposo prima, senza andare a casa del caro amico dipartito, sarei stato meglio fisicamente ma non spiritualmente senza adempiere il dovere di dare conforto, offrire il mio dolore per raccontare la traccia profonda che l’amico ha lasciato in me. Sono stanco ma grato di avere in me il valore della comunità, dell’importanza di condividere con gli altri un dolore forte, per tenersi uniti, vicini, affranti ma legati da una corda che salva dai marosi della vita, la fratellanza, l’appartenenza.
Giorno 2 – 17 giugno 2024
Dopo poche ore di sonno, alle 7 sono pronto, è arrivato il mio autista, che mi porterà da casa all’università e viceversa.
Vorrei chiarire, se a qualcuno venisse il dubbio, che nel frattempo non ho vinto la lotteria, né possiedo giacimenti di diamanti in Congo (né altrove!), l’esigenza di avere un autista tutto per me in questi giorni non é un vezzo da ricco, quanto piuttosto un obbligo per potermi muovere in una città caotica per traffico, per infrastrutture assolutamente insufficienti, per le regole eccessivamente disattese.
Vengo qui a Kinshasa alla facolta di Agraria per docenza, il mio primo dovere é arrivare in aula puntuale, ben vestito, fresco, devo dare il buon esempio, standard che assolutamente non potrei mantenere ricorrendo ai mezzi pubblici, scarsi e inadeguati per il mio tragitto, oltre ovviamente alla mia incolumità fisica che non è da disattendere.
Arrivo e trovo 2 alunni che mi riconoscono e con fare deferente mi sollevano dai pesi di zaino, pc e proiettore e si incamminano, facendomi strada.
L’aula a cui mi conducono, dove svolgo la lezione di Ecologia degli animali, é piena di volti che riconosco, sono gli studenti dell’anno scorso, passati al grado superiore, esternano la felicità di rivedermi, mentre io fatico a tenere a bada l’emozione di ritrovare dei giovani, che appena l’anno prima erano piuttosto verdi nella conoscenza ma soprattutto nel ragionamento critico e ora mi mostrano occhi curiosi, ansiosi che apra bocca e dica il verbo. Solo chi insegna, a qualsiasi grado e in qualsiasi forma, può capire la forza esplosiva che si prova ad avere intorno a sé spugne che bevono le tue parole, e che si pongono con fame al desco del sapere.
Non morirò oggi, ma dovessi farlo, avrei lasciato un’ eredita di conoscenza e ragionamento, di valori ed educazione alla ricerca del vero e non del dogma accademico.
La giornata prosegue intensa, finisco al tramonto, alle 21 finalmente ritorno a casa.
Valere e la sua famiglia mi hanno atteso per la cena. Seguirà il meritato riposo e poi domattina sarò un grillo alle 7, pronto a partire.
3° giorno – 18 giugno 2024
Alle 7 il mio caro, carissimo (in tutti i sensi!) autista passa a prendermi per portarmi alla facoltà di Agraria. Dopo ingorghi e gimkane pazzesche, che mi hanno fatto perdere i pochi capelli che ancora resistevano sulla mia testa dura, arriviamo alla méta. All’ingresso mi attende lo stesso studente di ieri, (nome), che ripete senza alcuna piaggeria, ma con deferenza reale e sentita, il rito di sollevarmi dai pesi dei vari strumenti didattici e al tempo stesso mi fa strada verso l’aula, che ci è stata assegnata per la lezione odierna. Come in tutte le università, ma qui ahimè ben di più, si crea confusione per le sovrapposizioni delle docenze nella stessa aula, per cui gli alunni del mio corso mi attendono altrove, poi finalmente qualcuno li indirizza all’aula giusta e iniziamo la lezione con leggero ritardo.
Il mio intento primario con questi giovani studenti non è solo un travaso di nozioni, ma soprattutto abituarli al metodo socratico, voglio stimolarli a “tirare fuori” i propri pensieri per raggiungere la verità, voglio che reagiscano, che si rendano parte attiva della società, capaci di organizzare pensiero ed azione. Non ho una formazione accademica di tipo filosofico, ma ne ho la tentazione, forse la tendenza, il mio intento è formare dei giovani che sappiano costruire il loro futuro, ne siano protagonisti, siano responsabili per se stessi e per la società, che li circonda. Non ho intenzione di importare in questa porzione di Congo la mentalità produttiva occidentale, voglio che loro conservino la dimensione culturale congolese, ingegnandosi al tempo stesso a portare avanti riforme coraggiose e dirompenti dei vari sistemi, affrancandosi da una certa cultura assistenzialista e passiva.
La lezione di oggi fa parte del corso di Anatomia e fisiologia degli animali: incomincio a porre domande, induco a riflessioni, coadiuvato dai miei assistenti, una studentessa mi colpisce con la sua domanda di come sia possibile produrre in modo tale da far bastare il cibo a tutti. Si apre una discussione molto coinvolgente, così tanto che superata abbondantemente l’ora della pausa, mi fermo per farli riposare un po’.
Riprendiamo dopo la pausa e nel pieno della lezione arriva un gruppetto di ragazzi, che sta realizzando una colletta per i funerali di un loro coetaneo. Li invito ad entrare, seguono per un po’ la mia lezione, in qualche modo interagiscono, poi li rimetto al centro della scena, riportando l’attenzione sulla loro raccolta, comunicando il mio pensiero sulla questione: mi dispiace molto per questa giovane vita sradicata così presto, è encomiabile che loro si occupino di onorarlo con un degno funerale, ma non spetterebbe a loro bensì a qualcun altro per competenza e ruolo. Dopodiché apro il portafogli e metto in una busta che mi porgono, una banconota che potrebbe essere notevole, almeno rispetto alla loro espressione compiaciuta, così come misera: ammetto che sono un docente ferrato nella mia materia, ma non sono (ancora) in grado di fare un cambio mentale della moneta locale con l’euro.
Alla fine della giornata col mio assistente programmo la lezione di giovedì prossimo e anche di portare le barbatelle. Ma di questo vi parlerò nei prossimi giorni. Ammetto di essere stanco, ma il piacere di condividere le mie idee, la mia progettualità che è dietro a questo viaggio da Guarene a Kinshasa è più forte. Se uno solo dei miei lettori vorrà capire, partecipare, sapere, avrò compiuto una parte del mio disegno.
Pace e bene a tutti, davvero a ogni singola creatura che abita la Terra.
Giorno 4° – 20 giugno 2024
Partenza alle ore 5 con Papà Aimé, l’ autista, lungo la strada ci fermiamo a prendere Yuidi, il mio assistente universitario, ci dirigiamo verso (città) a comprare una rete per proteggere le piante e delle cesoie, del pane e dell’acqua, perché nella città di Tampa non c’è acqua potabile, é prevista una trivellazione per farla sgorgare proprio nei prossimi giorni. Lungo la strada raccogliamo anche Christian, agronomo e coordinatore di un gruppo studentesco che accompagno dall’anno scorso.
Durante il tragitto si parla del tempo, d’improvviso una mia risata irrompe inarrestabile : i miei compagni di viaggio si lamentavano delle temperature freddissime di questa stagione secca (in Congo ora é inverno), 18 gradi, una temperatura insostenibile! Per me, che ormai sono abituato al freddo settentrionale, 18 gradi sono solo il preludio dei tepori primaverili. Ho riso così tanto, che ancora mi tira la pancia.
Questo divertito quartetto arriva finalmente a destinazione: oggi si é riunito per andare a piantare barbatelle piemontesi, precisamente di nebbiolo e di dolcetto, che ho portato dell’Italia in una glaciere con cura maniacale, in
un appezzamento di terra di 400 metri quadri, dentro al Parco Agroecologico San Antonio di Tampa, proprietà della onlus CENASC, di cui mio fratello Valere è coordinatore.
A noi si uniscono Valere e alcuni volontari locali, incominciamo a smuovere la terra con le zappe, é un lavoro molto duro, impieghiamo ore e ore a renderla un caldo grembo adatto ad accogliere le barbatelle.
La fatica é stata tanta, ma la soddisfazione é talmente grande, che non ci importa di essere sfiniti, di avere le vesciche alle mani, di essere sporchi di terra. Lasciamo il terreno alla custodia di alcuni uomini, che hanno il compito di vigilare che non si facciano razzie o addirittura compravendite illegali di quel fazzoletto di terra. Questo rende l’idea della precarietà delle leggi, erose da decenni di conflitti armati e corruzione dilagante.
É l’ora di tornare a casa. Partiti col buio, col buio torniamo, percorrendo strade su cui padroneggiano giganteschi camion, ci sentiamo dei Davide tra tanti Golia.
É stata una giornata pesante per tutti, lunga, faticosa ma ho goduto della bellezza di mettere le mani nella nuda terra, il contatto vero e senza mediazioni con la natura, del piacere di vedere un gruppo di semisconosciuti che operano tutti insieme, solidali tra loro, per il bene della comunità, sono felice che quello che era un progetto mio e di Valere scritto su carta l’anno scorso, ora si stia concretizzando.
Credo che stanotte appena appoggerò la testa sul cuscino, mi addormenteró profondamente, sereno, persino felice.
Giorno 5° – 21 giugno 2024
Mi alzo, con la stanchezza infinita di giorni di attività concentratissime, sono pronto quando arriva Aimee, il mio autista, mi siedo comodo, in testa cerco di ordinare tutto quanto ho vissuto ieri e quanto mi appresto a fare oggi all’università.
Il viaggio procede a passo d’uomo, come sempre, rallentato da un traffico endemico ed inestricabile. Ci sono troppe automobili rispetto alle infrastrutture stradali, tutto questo caos mi appare come una metafora di una società piena di fermento ma senza una direzione precisa, l’ingorgo delle auto diventa l’ingorgo della società, che non riesce, allo stato attuale, a prendere un cammino ordinato, etico, legale .
Essere allo sbando é la sensazione che più si sente qui, c’è tanto da fare per arrivare all’ordine sociale, al benessere, al lavoro per tutti, alla legalità riconosciuta e adottata con slancio.
Sono stanco, e come me tutti i cittadini perbene, di prevaricazioni, di subire l’atto di forza del furbo di turno. Sogno una società basata sulle regole e sul rispetto dell’altro, sul vivere appieno e non sopravvivere. Il mio apporto qui é una goccia nel mare, ma so che goccia a goccia si arriva a riempire grandi bacini di acqua, che disseta, tutto pulisce, nutre la terra.
Giorno 6° – 22 giugno 2024
É sabato, ma ugualmente c’è lezione all’università. Sono in macchina, direzione facoltà, procediamo come sempre lentamente per il traffico, chiamo il mio assistente perché porti avanti la lezione di anatomia e fisiologia, visto che non potrò arrivare puntuale. Dopo ore di auto, finalmente arriviamo alla meta e mi dirigo a tenere una lezione di ecologia.
Alla fine della lezione, vado a una riunione con un gruppo di studenti di Agraria, che ha messo in piedi un’attività di produzione avicola. I ragazzi hanno idee sufficientemente chiare sulla parte zootecnica, ma assai confuse relativamente alla parte di impresa. Cerco di inquadrarli nell’esigenza di avere chiari costi di produzione, capitali, conto interesse etc e li spingo a creare dei GAS (gruppi acquisto solidali). L’attività produttiva verrà spostata all’interno di un appezzamento di terra messo a disposizione dall’università.
Suggerisco loro di spingere la vendita presso i docenti nel periodo in cui prendono produttività e rimborsi.
Al termine della riunione, incontro un funzionario dell’ambasciata italiana a Kinshasa, col quale abbiamo parlato di cooperazione internazionale in generale e in particolare di C.I.D. (Cooperazione Internazionale Domus), associazione registrata e creata da me e altri 3 amici che in questo incontro vogliamo capire come aiutare il Congo accedendo ai “fondi governativi” collaborando anche con i produttori locali e per offrire consulenza agricola e tecnica.
Arriva l’ora di rientrare a casa, passando sotto il solito giogo del traffico inestricabile: sono stanco ma soddisfatto, ed é una bella sensazione.
Giorno 7° – 23 giugno 2024
Oggi é domenica, non ho impegni all’università, mi concedo il gusto di crogiolarmi a letto, pur lavorando a lezioni universitarie e a progetti in corso.
Oggi Aime riposa, andremo in giro con la macchina di Valère. Accompagniamo sua moglie Dolores, medico, all’ospedale Saint Joseph, opera realizzata dal fu Cardinale Malula, dove lei, quando non è in missione umanitaria, presta assistenza alle donne con fistola ostetrica. L’ospedale ha dei letti scrostati, scarni come tutto l’arredo delle stanze, ma vi opera l’eccellenza medica del paese.
Lasciamo Dolores e ci dirigiamo alla messa in memoria del nostro amico Urbain Babongeno.
Sulla strada ci fermiamo, stiamo cercando un pezzo di ricambio per il generatore elettrico, vitale per la casa di Valere. Dopo tentativi nelle varie vie del comune di Kasavubu, siamo approdati in un garage, la cui mercanzia é piazzata in parte all’aperto, occupandone una parte di strada. I proprietari sono nigeriani e musulmani e in quel momento stanno pregando.
Aspettiamo che finiscano e finalmente ci rispondo di non disporre del pezzo di ricambio che cerchiamo.
Attraversiamo un pezzo di città, zona Pompage, che si mostra decadente, caotica, a tratti brulla, sporca, eppure é piena di vita, di volti giovani, di mercanti improvvisati, tante moto che portano 2, 3 passeggeri, sfidando i pericoli e le regole stradali.
Arriviamo infine alla messa, dove 3 coristi intonano canti sacri. Partecipiamo accorati e solo quando la funzione finisce mi riconnetto a me stesso e alle mie esigenze: ho fame, una fame da lupi.
Viene a prenderci nostro cugino Jean con sua moglie, ci dirigiamo a casa loro poco lontano dalla chiesa. Non lo vedevo da 35 anni, lo rivedo con grande piacere, si è mantenuto in forma, é diventato un imprenditore edile. Mio fratello Valère deve discutere con lui un preventivo di una costruzione della struttura in mattoni destinata a ospitare una cisterna d’acqua nel Parco Agroecologico di San Antonio di Tampa, dove abbiamo eseguito l’impianto della vigna.
A fine chiacchierata, salutiamo per rimetterci nel traffico di Kinshasa, ingarbugliato nonostante sia domenica. Una lunga giornata senza lavoro ma di sicuro molto fitta di impegni!
Giorno 8° – 24 giugno 2024
Aime oggi decide di arrivare molto più tardi del solito, senza avvisarmi e senza apparente motivo. Monto in macchina contrariato: tra il suo ritardo e il solito traffico arriverò con imperdonabile ritardo, proprio oggi che ho ben 3 corsi diversi da tenere. Purtroppo uno dei lati che non amo di alcuni miei connazionali é l’eccessiva confidenza non appena ci si rivolge loro con cortesia e generosità. Dovrò mostrarmi più asciutto e severo, meno amichevole, mi preme troppo essere affidabile ed arrivare in orario. Gli studenti e le loro famiglie fanno grossi sacrifici per mantenersi/li agli studi, devo essere rispettoso del loro prezioso tempo.
Alcune ore dopo la partenza, arrivo trafelato, mi indicano l’aula K11, tengo la prima lezione del corso Il mestiere dell’agronomo, in altre 2 aule terrò una lezione di Anatomia e fisiologia e infine di Ecologia, con l’aiuto del mio assistente.
Devo ancora introdurre del tutto 2 corsi: Zootecnia speciale e Progetto col tutor , sono impensierito dalla mole di lavoro da fare ancora in un tempi così ristretti, erosi anche da rallentamenti involontari causati dal traffico e altri inciampi.
Tra un corso e l’altro, incontro prima il preside, poi il Direttore del gabinetto della rettrice, per discutere di un progetto da proporre all’ambasciata italiana in Congo, con la collaborazione dall’università, progetto la cui presentazione avverrà mercoledì 26 giugno 2024. Al tempo stesso dobbiamo organizzare una visita all’università dei membri dell’ambasciata due giorni dopo.
Finite le lezioni di oggi, coordino l’organizzazione della visita giovedì 27 giugno 2024 ai 400 mq di superfice vitata a cui abbiamo lavorato lo scorso giovedì, per vedere a distanza di qualche giorno come risultano le viti.
Alle 20 sono ancora in auto sulla via del ritorno a casa. Stanchezza a mille. Mi servirebbe guardare la partita dell’Italia per tifare e lasciare scivolare via la stanchezza. Ma non posso vederla, tifate voi per me!
Informazioni sull’Università dove insegna Anselme:
Giorno 11°- 27 giugno 2024
Parto per l’università, dove una volta arrivato sono pronto ad organizzare la logistica relativa al ricevimento organizzato dall’ambasciata italiana a Kinshasa, per la presentazione di un progetto introdotto da Renzo Piraccini, Presidente di Macfrut di Rimini, che grazie al Piano Mattei vorrebbe costruire un centro di alta tecnologia per il mondo ortofrutticolo in Congo. Per l’Africa subsahariana, in questo progetto, sono stati scelti la Repubblica Democratica del Congo e il Kenia.
L’ambasciata italiana ha invitato per questo evento varie personalità, tra cui la rettrice dell’Università della mia università e il doyen della facoltà di agraria, prima autorità della facoltà di agraria. Entrambi assenti hanno delegato rispettivamente il direttore del gabinetto e vicedoyen.
Durante la giornata incontro degli studenti belgi in stage all’università di UPN, Kinshasa, tengo una riunione con l”ufficio informatico dell’Università e, in call, col direttore di gabinetto della rettrice,
Finalmente sono le 16 ed é ora di partire per il ricevimento, durante il quale avverrà la presentazione del progetto Centro di Alta Tecnologia ortofrutticolo. Attendo il prof. Phongi e il prof. Mukala, che verranno in macchina con me, e finalmente riusciremo a partire solo alle 17, destinazione Gombe.
Durante l’evento vengono mostrati modelli tecnologicamente avanzati di orticoltura, a seguire l’idroponica, ossia la coltivazione automatizzata fuori suolo dell’insalata, macchinari tecnologicamente avanzati che fanno il trapianto delle verdure, con conseguente riduzione della manodopera, della superficie agricola, delle quantità di acqua e di fertilizzanti.
Qualcuno tra i presenti pone il quesito se é la strada giusta in un paese ricco di superficie di terre arabili e fertili, quanto piuttosto sarebbe necessario potenziare la rete stradale per il trasporto di questo prodotto all’interno del paese.
Queste perplessità arrivano dal pubblico ma senza ostilità, anzi i presenti sono entusiasti all’idea di un’automatizzazione e utilizzo dei macchinari di un certo livello in una capitale, che oggi conta 20 milioni di abitanti, ai quali i capofila del progetto hanno l’obiettivo di fornire sicurezza alimentare.
La serata si conclude con un rinfresco a base di prodotti e cucina locale, serviti dal personale del catering. Dopo essermi intrattenuto in amabili conversazioni con vari invitati, piano piano mi accomiato dal ricevimento in Residenza dell’ambasciata.
Queste imprese ci portano avanti nella tecnologia nuova ma ci fanno saltare delle tappe necessarie, perché le popolazioni possano maturare tutto quello che é necessario per arrivare allo sviluppo: ad esempio saltare la telefonia fissa, andando direttamente a quella mobile é comodo, ma crea un buco nero nella cultura dell’apprendimento.
Le università devono accompagnare questi processi per non disperdere la tradizione, porre attenzione al piccolo produttore perché non soffra le maxiproduzioni automatizzate, garantire la formazione per la manodopera in vista della manutenzione dei macchinari tecnologicamente avanzati. Il ruolo quindi delle università é anche quello di accogliere le innovazioni ma contestualizzandole al momento storico del paese e al momento culturale: devono spingere lo sviluppo, non saltando i gradini a decine, ma uno alla volta.
É un ruolo complesso, difficile, sfidante, ma anche galvanizzante per chi ha una mente e un backround orientati al progresso, ma eticamente collegati alla custodia di saperi, tradizioni, microrealtà rurali.
É tarda notte, arrivo finalmente a casa. Una giornata densissima, credo di meritare finalmente un sonno ristoratore
Giorno 12° – 28 giugno 2024
Oggi era prevista la presenza dell’ambasciatore italiano a Kinshasa all’Università Pedagogica Nazionale, insieme al presidente della Macfrut Renzo Piraccini, per includerli nel progetto delle alte tecnologie in orticoltura, avvalendosi della mia presenza in loco.
Purtroppo la visita é stata rimandata, per il rientro già calendarizzato di Piraccini in Italia.
Non avendo più questo impegno, né corsi da tenere nella mia facoltà, ho potuto dedicarmi alle celebrazioni per la morte del mio amico avvocato Maître Urbain Babongeno e quindi al mattino con mio fratello Valère ci siamo recati nella sontuosa cattedrale Notre Dame di Kinshasa a seguire la messa funebre, durata circa due ore. La chiesa era gremita di familiari, amici d’infanzia, compagni di università, colleghi, vicini di casa, conoscenti etc. É stata toccante la lettura delle parole della primogenita di 5 figli, parole di amore incondizionato per quel padre perso troppo presto. La sua voce rotta dal pianto ha emozionato l’intera assemblea, avevamo tutti le lacrime agli occhi. A seguire testimonianze piene di affetto e tristezza da parte di amici e colleghi. Abbiamo poi accompagnato il feretro, in corteo percorrendo la distanza dalla cattedrale al cimitero, fino a seguire il rito dell’ultima benedizione e della sepoltura.
Come tradizione vuole, ci siamo ritrovati poi tutti insieme per un rinfresco e per salutarci. A coronamento delle ore emozionalmente pesanti appena trascorse, ci ha accolti il solito traffico caotico e indisponente, la strada per arrivare a casa é diventata lunga, lunghissima.
Tutto sembra una metafora, morte e vita, tradizione e innovazione, lentezza e velocità, tristezza e gaiezza, silenzio religioso e rumore caotico. La vita é un ossimoro continuo, e io sono piantato nel mezzo di questo ossimoro, esattamente come voi.
Giorni 13°/14°/15° dal 29 giugno al 1° luglio
Caro lettore, anzi, speranzoso, mi rivolgo a una platea più vasta, cari lettori e care lettrici, che mi seguite in questa mia missione congolese: non ho abbandonato né voi né il mio diario quotidiano, ma sono stati giorni così densi da non permettermi di farvi un report puntuale di tutte le attività didattiche, incontri di lavoro, di progettazione, di cooperazione, di brainstorming e da ultimo, ma non ultimo, di un incontro in cui ci siamo riuniti tutti i fratelli e sorelle Bakudila, tranne la cara Suzanne mancata a causa di complicazioni durante il parto ancora prima del mio arrivo in Italia, per delle decisioni importanti che riguardano tutta la nostra famiglia.
Spero di non apparire presuntuoso, ma vengo preso d’assalto perché dia un mio parere su tutto: la speranza che una mia parola possa risolvere problemi agronomici, tecnici, economici-finanziari, di apprendimento o che semplicemente serva ad alleviare tristezza o superare incomprensioni. E’ speranza che nutrono trasversalmente nei miei confronti, spesso oltremisura o immeritata rispetto alle mie capacità e conoscenze, eppure a volte insieme riusciamo a trovare delle soluzioni molto soddisfacenti. Cosa che stupisce persino me stesso. Non posso sottrarmi a tutte queste pressioni e quindi i vuoti del mio resoconto si fanno più profondi. Mi scuso con tutti gli amici che mi leggono e seguono i miei passi.
Il silenzio è anche segno di operatività, giammai di disimpegno o scarsa materia: i miei giorni congolesi sono sempre febbrili. Io stesso quando rileggo il diario dei giorni scorsi mi chiedo come sia riuscito in tutte queste attività!
Poi intervengono anche tante variabili impreviste: ad esempio ieri, 1° luglio 2024, senza che la cosa fosse programmata o concordata, ho trovato Christelle, persona a me sconosciuta, davanti alla casa di mio fratello Valere con il portone chiuso. Tornavo dall’insegnamento all’università e sulla strada di rientro mi sono fermato a Bandal per rispondere ai membri di Slow Food RDCongo a Kinshasa; ad essere preciso la riunione era con Slow Food Pool Malebo, con i rappresentanti delle comunità dei pescatori di Kinshasa, di risicoltori di Kinshasa e di orticoltori di Kinshasa.
Conclusa la riunione, torno a casa e trovo Christelle, che aspettava mio fratello davanti al portone. La faccio entrare e incominciamo a conversare: è appena tornata dall’università di Kinshasa, dove si è immatricolata al Politecnico, ma nutre la speranza di venire in Italia a studiare, perché la formazione in Congo, secondo lei, non consente tanta pratica applicativa. Come me tanti anni addietro dispone di preiscrizione all’università in Italia e si trova lì per chiedere a mio fratello la traduzione dei documenti richiesti dall’università italiana. Parliamo a lungo, le espongo la mia esperianza e scopro una ragazza profondamente intelligente, molto intraprendente e volenterosa, ma anche bisognosa di essere indirizzata e guidata. Seppur affamato da un digiuno durato tutto il giorno per troppi impegni, le dedico tutta la mia attenzione e il mio aiuto. All’arrivo di mio fratello lo rendo edotto di quanto fatto per Christelle e finalmente ci sediamo a tavola per un meritatissimo pasto tradizionale.
Un giorno, se siete interessati, vi farò un elenco con una breve descrizione dei piatti tipici di Kinshasa, in particolare della tradizione della mia famiglia, piatti che una volta rientrato in Italia ricorderò con nostalgia, a riconferma che ognuno nel suo bagaglio personale porta con sè una cucina affettiva, dei piatti di devozione, profumi e odori che rievocano situazioni familiari felici.
Un caro abbraccio a tutti voi
Alcuni video per vedere il disastro provocato dallo sventramento della montagna:
e infine … pesce pescato nel fiume Congo altezza Kinshasa.
Giorni 16° e 17° – 2 e 3 luglio 2024
Quando la notte si abbraccia all’alba, in un semichiarore ancora indefinito, mi alzo, una stanchezza antica abita ormai le mie ossa, persino la pelle è stanca da questi giorni così fitti, ma non la mente, sempre vigile. Sono le 5 del mattino, devo andare con mio fratello Valere a visitare il sito, dove avverrà lo scavo per il pozzo d’acqua, la delimitazione del terreno dedicato al parco Agroecologico, che oggi ospita la vigna sperimentale e devo controllare l’andamento dell’impianto nella vigna.
Nel dirigerci in questi luoghi, percorriamo strade dissestate, sabbiose, senza marciapiedi, che brulicano di un’umanità più disparata: vedo donne la cui schiena è curva sotto un peso matematicamente impossibile da sostenere per un corpo umano, eppure loro son lì a portarlo stoicamente, con passo lento ma senza fermarsi mai; vedo bambini che dovrebbero stare curvi sui libri a scuola, ad imparare la storia, la geografia, la matematica, e che invece sono dei piccoli adulti che, imbarcati su carrette strapiene, si dirigono a lavorare per il fabbisogno familiare; vedo vecchi che dovrebbero trascorrere ore di dolce ozio e ricevere le attenzioni che si devono ai nostri ascendenti, e invece li vedi che vendono ai lati delle strade, su una coperta lacera poca mercanzia, giusto per portare 2 soldi a casa. La gente è povera, percorre le strade con vecchie scarpe o anche scalze, indossa sempre vestiti spaiati, cammina per ore sotto al sole, senza un lamento, senza avere timori. La povertà in queste vie è evidente, non urla, è una povertà storica, impressa sulla pelle come un tatuaggio.
Rubo un po’ di scatti, col pudore che hanno i fotografi improvvisati e che non vogliono cadere nell’errore di sbattere sui social persone dignitose, che non chiedono nè pietà, nè elemosina, non chiedono nulla, nel midollo hanno il senso del dovere e del destino, non sono furiosi, non si sentono vittime, non si sentono sfortunati: è la loro vita e vanno avanti.
Nessun ricco può avere più contegno, più onorabilità di loro. Non impressioniamoci per queste foto, non inumidiamoci gli occhi a vedere la contadina col braccio offeso, che pure utilizza come uno strumento sano. Non indigniamoci per la loro povertà. Piuttosto amiamo il loro contegno e sosteniamo un progetto, due, cento, progetti degni, progetti che possano apportare futuro per queste persone e per le generazioni future. Sposiamo progetti solidali, umanitari dove i protagonisti devono essere loro, non il nostro assistenzialismo occidentale.
Come in tutte le società, ci sono vari strati sociali: dobbiamo sostenere gli eletti (per capacità, formazione, cultura e onestà), che vogliono portare educazione, cultura, crescita sociale, autodeterminazione, etica, nella società congolese. Una realtà dalla cultura millenaria, arcaica, ramificata. La Repubblica Democratica del Congo è ricca di giacimenti, la sua gente non è povera, ma impoverita, cioè derubata dalle “democrazie” occidentali, ex (quanto ex?) colonizzatori. La vera democrazia sarebbe restituire la ricchezza al popolo natio, al popolo congolese.
Senza affrontare oggi un argomento difficile come le connivenze tra i vari poteri internazionali, le corruzioni interne al Congo, voglio solo dire con queste foto che, se crediamo al fatto che siamo tutti figli di Dio, non dobbiamo accettare che certi popoli siano figli di un dio minore. Dobbiamo aiutare chi crede nello sviluppo del Congo, chi investe le proprie competenze, però trasferendole, insegnando ai congolesi come fare, non agendo al posto loro.
La strada è lunga, polverosa, intasata da moto, così cariche che chi le guida è più un equilibrista che altro. La giornata è intensa, le idee di sviluppo che passano nella mia mente e in quelle del mio gruppo di lavoro sono incessanti, piccoli criceti che corrono senza sosta nella ruota.
Ci fermiamo: un furgoncino carico di merci subisce un incidente, è al lato della strada, guardiamo increduli quanto peso abbia trasportato sin lì, passiamo accanto senza poter fare nulla, ma con la missione di fare qualcosa di buono, qualcosa che porti a un’evoluzione sociale per una fetta del nostro amato Congo.
Mi fermo, le emozioni mi consumano più del lavoro fisico, ho bisogno di sperare in un futuro luminoso per la mia gente. Vi sento vicini nella mia visionarietà, vi abbraccio forte.
Giorno 18° – 4 luglio 2024
Solita sveglia all’alba, partenza di primo mattino, ore nel traffico e finalmente arrivo alla mia università. Qui incontro il segretario accademico e il preside della mia facoltà per recarci insieme agli uffici amministrativi.
Dopo mi incontro con mio nipote Valère (omonimo a mio fratello grande) che solitamente mi assiste in una città divenuta per me irriconoscibile ma, questa volta è per preparare i documenti dell’associazione delle donne, ossia la Società globale delle donne, che ho fondato alcuni anni fa con la finalità di rendere autonome e autodeterminate alcune donne della foresta equatoriale, che avevano aderito al progetto. Il nuovo ministro della giustizia ha revocato tutte le autorizzazioni chiamate F92, che consentono alle associazioni di essere riconosciute dallo stato e quindi di operare nella piena legalità. Il ministro le ha annullate tutte, quindi bisogna rifare tutto da capo per far riconoscere la personalità giuridica alla Società globale delle donne e per farlo occorrono 500 dollari, che purtroppo mancano in cassa. Questo obbligo ministeriale ha complicato la situazione per molte associazioni locali.
Mentre mio nipote scrive al pc dietro mia dettatura e supervisione , correggiamo i documenti che dovrò firmare, arriva una mia studentessa, che mi chiede se terrò lezione quel giorno: al mio diniego, mi supplica di fare lezione, e questo mi colpisce, decido di dedicarle un po’ del mio tempo.
Lascio quindi mio nipote a continuare sia il mio dossier universitario che il dossier dell’associazione delle donne, per preparare tutte le richieste necessarie sia all’Università che al Ministero della Giustizia.
Poiché non c’è un aula disponibile, la ragazza si mette alla ricerca, alla fine la trova e insieme ad altri studenti, sono appena in tre, formiamo un piccolo cerchio. Io incomincio a tenere la lezione accademica, ma poi, forte del piccolo numero che permette un’interazione molto più agevole, che se fossero stati in 30/40 studenti, dalla formalità della lezione si passa a parlare un po’ di tutto, cioè di sociologia, scienza, vita quotidiana e storia del paese. Questi ragazzi non conoscono la storia del Congo antecedente alla loro nascita: conoscono solo il Congo dei loro giorni, ossia un paese dilaniato dalla guerra e dalle guerriglie interne. Io voglio raccontare loro il valore del paese prima di essere lacerato dalla guerra e la valenza degli uomini e delle donne, la loro responsabilità civile e sociale e il rispetto che debbono l’uno all’altra È stata un’esperienza molto formativa sia per me che per loro, in quanto aderisce perfettamente al mio modus operandi: l’insegnamento non è esclusivamente un passaggio, un trasferimento di nozioni dal docente agli studenti, ma è inoculare informazioni e contestualizzare queste informazioni e allargarle ad altri aspetti della vita, per dimostrare loro quanto tutto sia intrecciato e come ogni piccola azione possa determinare un cambiamento. Mi interessa avere non semplicemente ottimi discenti, il mio desiderio più grande é che siano ottime persone, con un alto profilo morale, con grandi conoscenze e il coraggio di dimostrarlo al mondo.
Ci salutiamo con un arrivederci molto accorato. Ho un misto di emozioni, lascio dei ragazzi in gamba ma con pochi mezzi per elevarsi, giovani che potranno diventare un giorno degli apicali di società private e pubbliche, se solo avranno la possibilità allargare l’orizzonte di conoscenza ed esperienze.
Mi infilo in macchina e ritorno a casa: per quest’anno è l’ultimo giorno della mia docenza in Congo. Sto in silenzio durante il tragitto, mi fa compagnia una precoce nostalgia della mia Terra, della mia famiglia, dei miei studenti.
Giorno 19° – 5 luglio 2024
E’ l’ultima notte che trascorro a Kinshasa prima di prendere l’aereo per rientrare in Italia.
Ho finito con l’introduzione dell’ultima lezione (di Zootecnia speciale) e ho lasciato le istruzioni al coordinatore degli studentI e al mio assistente, perché possano terminare la parte teorica che bisogna ancora affrontare. E’ stata l’ultima lezione dei 5 corsi che mi sono stati assegnati da docente e ho iniziato il quinto nella settimana a ridosso della partenza, lasciando quindi il compito agli assistenti di seguire i miei amati studenti nell’ultima sessione di studio.
In quello stesso giorno ho fatto l’esperienza, che mancava dai tempi dei miei anni giovanili, cioè di vedere Kinshasa di notte, quando generalmente trovo riparo e conforto a casa dopo la lunga giornata trascorsa fuori, ore ed ore in auto, camminando a passo d’uomo nel traffico inestricabile e ore e ore tra università, parco agroecologico, vigna sperimentale, presentazione di progetti, ambasciata etc etc. Ho tessuto tanto, ho cercato di interconnettere i giovani universitari della mia facoltà con nuovi orizzonti sia in termini di colture diverse sia nella possibilità di utilizzare nuove procedure e nuove attrezzature per l’ottenimento di prodotti sani, buoni, abbondanti; ho cercato di far entrare nei miei sogni mio fratello Valère, agronomo laureato alla Cattolica di Piacenza proprio come me e visionario tal quale a me, coordinatore e responsabile della onlus CENASC-COE, padre di 3 figlie naturali e diversi adottivi. Ho piantato barbatelle e seminato idee, ho arato terra e dato vita a nuove speranze a tutti quelli che si sono sporcati le mani di terra con me.
Dicevo che per la prima volta da decenni vedo la mia città, Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo, di notte. Vi posterò delle foto perché possiate meglio intendere le mie parole: é un formicaio, brulica di auto incolonnate, ferme e strombazzanti nel traffico infernale, centinaia tra taxi e motociclette, spesso sormontate da 3 persone, carrette piene di gente che rientra da lunghe e dure giornate di lavoro, ma quel che sorprende è la miriade di persone che cammina a piedi, non potendosi permettere alcun mezzo di trasporto, donne, uomini, bambini, che dal centro si riversano verso le periferie, col passo stanco ma sempre vigile, perché se qualsiasi città del mondo di notte può essere pericolosa, Kinshasa è un semenzaio dei pericoli più svariati, i pericoli che si creano nelle società povere, dove il più scaltro per sopravvivere infierisce sul più malaccorto, dove i pericoli sono una deriva del disordine sociale, delle corruzioni, delle guerriglie e delle guerre vere e proprie.
Ho il cuore in affanno: prendo anch’io la moto a tre ruote, localmente chiamata “petita” e qui la sicurezza è relativa, sicuramente meno peggio delle solite moto. Guardo questa umanità dolente e soffro perché tra quelli, la maggior parte sarà costituita da persone perbene, persone oneste che vorrebbero una vita dignitosa e retta e che invece devono lavorare e mandare i loro figli adolescenti, quando non addirittura bambini a lavorare, anzi a faticare. Ai fortunati il peso della vergogna, mi viene da pensare, ma sono sicuro che i miei amici lettori capiscono cosa intendo.
Finalmente arriviamo a casa, sento il bisogno di una doccia, un pasto caldo, un letto pulito. Non voglio pensare più a nulla questa notte.
Giorni 20° e 21° – 6 e 7 luglio 2024
E’ il 6 luglio, un sabato, il giorno della mia partenza da Kinshasa: ho l’aereo alle 13.25 destinazione Addis Abeba, Etiopia, da dove ripartirò a mezzanotte con destinazione Milano Malpensa, con arrivo alle 5.50 del mattino di domenica 7 luglio.
Essendo mio fratello Valere impegnato, in aeroporto mi accompagnano, alla guida, il fido Aimeé, il mio autista di quasi l’intero soggiorno congolese e, seduto accanto a me, mio nipote Valere, un rito che compie a ogni mio rientro e partenza dal Congo, impegni lavorativi permettendo.
Non vi tedio col solito rimando del traffico infernale, vi racconto solo che all’arrivo in aeroporto mi devo destreggiare tra mendicanti e facchini improvvisati, che si sospingono per accaparrarsi dietro mancia i bagagli dei viaggiatori.
Vado al check in, consegno i bagagli, oltrepasso i controlli, dove mi viene chiesto spudoratamente una mancia, un obolo o pizzo che dir si voglia, contrariandomi assai.
Passo il tempo nella sala antistante il mio gate leggendo le ultime notizie, recuperando una decina tra mail e messaggi tra le centinaia che ho in arretrato.
Arriva l’ora dell’imbarco, mi inerpico su per la scaletta, rispondo al saluto del personale di bordo e mi accomodo nel posto assegnatomi. Appoggio la testa allo schienale, chiudo gli occhi e sospiro: d’improvviso mi accorgo di una cosa, e cioè che sono stanco, di una stanchezza profonda, pervasiva, inguaribile, una stanchezza ormai liquida, che si è mescolata al sangue nelle vene. Vorrei sprofondare in un sonno rigenerante, ma non è facile, lo spazio prossemico è così ridotto, non voglio sfiorare né essere sfiorato dal respiro di chi mi siede ai lati.
Il volo procede normalmente, nessuna turbolenza o disguido tecnico, atterriamo ad Addis Abeba in orario e ripartiamo col volo di mezzanotte per Malpensa. E qui arriva la sorpresa: causa maltempo, il pilota è costretto a dirigersi all’aeroporto di Genova, da dove ripartiamo dopo oltre un’ora. La mia stanchezza inestinguibile si è fatta ancora più grande, profonda. Non ci voleva il diversivo di Genova, ma tant’è, non si poteva fare diversamente.
Il ritardo si somma a quello per il ritiro dei bagagli, finalmente il nastro mi porta molle e generoso le mie valigie, posso attraversare le porte dell’uscita e ritrovare il volto di mia moglie, di mia figlia, che bello vederle, che felicità abbracciarle, l’altro figlio lo abbraccerò a casa, già pregusto la gioia di sollevarlo da terra e baciarlo!
Diario del mio viaggio in Congo – The end
Considerazioni, ringraziamenti e pensieri sparsi
Avete letto, quindi, che sono ritornato in Italia, anche questa volta rientro vivo e sano da questa missione, che ho potuto intraprendere grazie all’aiuto di tanti amici e all’accoglienza, accompagnamento e guida di tanti parenti, una missione che ha seminato in tanti una speranza forte di riscatto.
Ho incontrato tanti giovani, tante persone disperate, assistenti, colleghi docenti, persone che si impegnano stoicamente tutti i giorni nella difficoltà totale senza sapere realmente in che paese vivono, come preservarsi in un paese così caotico.
Abbiamo incontrato col mio team tanti giovani che auspicano per la loro vita un futuro migliore, che confidavano nei nostri insegnamenti e speranzosi di un cammino fianco a fianco per trovare soluzioni utili a loro, alle loro famiglie, ma soprattutto al Congo, un paese ricco ma mantenuto volutamente nella miseria, nella sopravvivenza.
La strada è lunga, tortuosa, difficile.
So che vi ha potuto sorprendere la mia critica forte alla corruzione del Congo, la denuncia dei malcostumi, delle connivenze dei poteri locali con quelli occidentali: un uomo innamorato perdutamente del suo paese, che pubblicamente lo disapprova e lo stigmatizza. E so che può sembrare in antitesi parlare di dignità della povertà estrema e al tempo stesso, per il riscatto da essa, pontificare sulla necessità di investire in progetti umanitari e sociali. Ma pensateci bene, quale amore può essere autentico se non è etico? Io amo visceralmente il mio paese, la mia città, la mia gente e voglio saperli sani, vivi, nella legalità e nella moralità, nell’abbondanza, nel rispetto civile, voglio vederli protagonisti e fautori del loro destino luminoso. Criticare costruttivamente serve a far crescere, a correggersi, a evolvere. Quando lancio una pietra (metaforica) mi sanguina la mano: non lancio per lapidare, ma PER FARE RUMORE. E sappiate che le parole che qui posso dire liberamente, in un paese controllato dalle milizie può costare la prigionia, se non la vita.
Ringrazio chiunque abbia in qualche modo sostenuto e aiutato la mia missione moralmente, economicamente, con un consiglio, con la lettura di questo diario, grazie a don Luigi per avermelo proposto e per aver ospitato le mie parole su queste pagine virtuali. Grazie, vi voglio bene.
Con questo chiudo il diario di questo viaggio in RDC, la bellissima Repubblica Democratica del Congo, la mia terra natia, la terra della mia famiglia, dei miei avi e, anche se ora in questo momento storico della loro crescita risulta loro poco evidente, la terra dei miei amatissimi figli.