Aceto
Mi hanno messo veleno nel cibo e quando avevo sete mi hanno dato aceto
I due versetti del salmo 68 tratteggiano bene la vicenda di Gesù che ormai sta volgendo al termine: veleno per cibo, aceto per bevanda.
Cibo donato come corpo per la vita, per il bene, per amore, e veleno ricevuto, come tradimento, allontanamento, misconoscimento, rifiuto, inganno.
Vino della letizia offerto, a partire dalla lontana festa di nozze di Cana, o acqua, ma di quella che non finisce mai, alla samaritana e a ogni persona che “ha sete”, e aceto avuto in cambio, dai soldati che lo sbeffeggiavano o da bere in cima alla canna, con la spugna imbevuta.
Non propriamente uno scambio equo.
Eppure senza pentimento da parte del figlio di Dio, che di fronte ai gesti distruttori e di avvilimento dell’uomo, in una delle sue ultime parole rivolte al Padre dirà: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Effettivamente non sappiamo quello che facciamo se guardiamo il mondo, o, per lo meno, non lo abbiamo ancora capito. Ma perché? Possibile che non capiamo che il veleno e l’aceto non riescono a nutrire e a dissetare le nostre essenze inaridite, non riescono a dare vita al mondo, non riescono a costruire nulla, non possono aprire strade nuove?
Perché?
Perché l’amarezza del tradimento di un discepolo, come Giuda? Come me (“sono forse io?”)?
Solo le favole finiscono con “vissero felici e contenti”, la vita non è così.
Però … piccole differenze, sono certo, possono fare grandi cambiamenti.
Io cosa darò da bere oggi al mondo? Come nutrirò le fami (compresa la mia) che mi si presenteranno lungo il mio cammino?