QUATTORDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

VUOTI … DA RIEMPIRE

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo,Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.

Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

É bello che Gesù,  nonostante la non fede dei suoi concittadini in Lui, “impose le mani a pochi malati e li guarì”; è interessante questo maestro che, nonostante l’incredulità da cui è circondato continui a “percorrere i villaggi d’intorno, insegnando”. Bello pensare che  nonostante le situazioni nella (nostra) vita che ci vorrebbero fare continuamente sviare dai nostri intenti più belli e profondi, Gesù continui a essere maestro di caparbietà e di speranza viva. Gesù continua a credere nelle donne e negli uomini che lo seguono, e diventano discepoli, ossia la sua nuova famiglia. I vincoli di sangue e di privilegio lasciano il posto al cuore che accoglie e respira una nuova notizia sulla vita,  una logica liberante che al centro di ogni cosa non ha paura di ribadire che si nasce e si rinasce continuamente soltanto stando con Lui, amando e generando vita nuova di conseguenza. 

Il pregiudizio intellettuale di chi pensa di sapere tutto è il limite più grande alla conoscenza. Sembra paradossale, ma la chiusura della mente e del cuore che non sanno permettere all’inedito e a ciò che  sorprende di attecchire, in modo inaspettato e indipendente dalle proprie capacità e meriti, diventa la prigione e la condanna all’immobilità sterile e rinchiusa in se stessa. Gesù era maestro di aperture. Le promesse della fede accadono sempre nei momenti più strani, quando  sembra che non ci sia nulla da fare. Se un pensiero del genere si trasforma da resistenza inacidita e arrabbiata in disponibilità e resa a quanto, o meglio, a Colui che ci oltrepassa, gli orizzonti possono riaprirsi e quello che sembra un vuoto diventa possibilità di fecondità e riempimento. Un vuoto fecondo e pieno di possibile nuova vita perchè noi siamo molto più grandi dei nostri risultati, dei nostri pensieri e delle nostre emozioni. Come diceva giustamente Paolo: “ In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo … Poiché di lui stirpe noi siamo” (At. 17, 28) . Siamo più grandi delle nostre vite e delle nostre morti. Immergersi in Dio e nel suo mistero ci fa recuperare l’infinitezza dei nostri cammini che piano piano, nel quotidiano  e paziente lavoro evangelico del contadino, fanno capire che l’annuncio – anche se viene fatto a un popolo caparbio e dalla dura cervice, come suggerisce Ezechiele nella prima lettura, o,  capace di rivelare la sua forza nella nostra debolezza – è sempre un rilancio di vita per chi lo riceve e per chi,  nella fatica dei suoi passi, osa ripetere le parole del Centurione: “Signore, io credo, ma tu aumenta la mia fede!”. 

Cosa significa per me CONOSCERE GESÚ? Gli permetto di operare nella mia vita con la sua potenza? Penso di sapere tutto di Lui?