GESÚ É IL CORPO DI DIO
Dal Vangelo secondo Marco
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
Fa sempre un po’ impressione pensare come Dio, attraverso Gesù, abbia fatto di tutto per convincerci che, dal momento in cui è venuto tra noi, avremmo avuto la possibilità di trovare la sua presenza mettendoci in relazione con la concretezza dei corpi dei fratelli. Gesù aveva buttato all’aria tutte quelle concezioni per le quali il rapporto con Dio passava attraverso dei concetti di irraggiungibilità e di impossibilità di “accesso”, perchè Dio apparteneva al mondo del “divino”, del “sacro”, del “separato” e per i poveri mortali, condannati dal loro limite e dalla loro “materialità”, diventava una invisibile chimera. Soltanto i grandi sacerdoti, i mistici, gli inarrivabili santi avevano la possibilità di avvicinarsi con tremore grande a qualcosa che, in fondo, manco loro sapevano. La cosa che fa più impressione, dicevo, è che, pur sapendo che le cose non stanno così, per svariati secoli addirittura la Chiesa ha impostato delle spiritualità volte maggiormente a “rappresentare” la celebrazione dell’Invisibile piuttosto della concreta responsabilità umana e vitale (senza fine) che Gesù ha consegnato a quanti si sono messi alla sua scuola di amore e di destinazione buona e affidabile dei loro giorni. Il testamento lasciato ai dodici, durante la Festa di Pasqua, infatti, risuona nelle parole: “questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”.
La festa di oggi si chiama Corpus Domini perchè è la festa del CORPO DI DIO: Gesù è il corpo del Signore, la visibilità del Padre del Cielo (“chi vede me vede il Padre”); chi vede il Padre (Dio) vede un Figlio (Gesù), e chi vede noi dovrebbe vedere altri figli (il prossimo) messi al mondo da quello stesso Figlio. Figli che lo rigenerano avvicinandosi con attenzione agli affamati, agli assetati, ai bisognosi di abiti e protezioni, agli stranieri e agli spaesati nella psiche e nel cuore che stanno accanto a noi; persone che sanno che ogni gesto di amore inaugura la logica del Regno di Dio che è unico in grado di spodestare l’impero della separazione, della bellicosità, della competizione e dell’indifferenza. Figli che sperimentano come il comandamento dell’amore sia una forza legata alla circolazione di un coinvolgimento totale tra Dio, gli altri e noi stessi, sempre e insieme ogni volta.
Ormai per il secondo anno, a causa del Covid, non si farà nessuna processione eucaristica, tuttavia l’occasione potrebbe essere propizia per pensare che andare dietro al Signore non significa solo seguire l’ostensorio tra le vie indifferenti di una città, ma vivere la consapevolezza che a portare Gesù “per le vie del mondo” siamo tutti noi, ognuno, indistintamente. Il pane si trasforma nel nostro corpo e il pane trasforma il nostro corpo affidando alla memoria costante del dono di sé la possibilità di “comunioni” nuove che passano dall’invisibile volto di Dio alla reale faccia degli uomini e delle donne. Che tornano a essere CORPI DOMINI.