Molti di noi hanno sperimentato come nel 2020, ma ancora nel 2021, sia stato triste vedere vicini e familiari ammalarsi di un virus in molti casi mortale e non poter fare nulla.
Ma, come ci ricorda don Renato Rosso, missionario in Bangladesh, (Gazzetta d’Alba, 24 gennaio 2021 – Don Renato Rosso, “Voi combattete il Covid-19, ma quanti milioni muoiono per altri virus?”) in altre parti del mondo, meno titolate nei notiziari televisivi e negli articoli dei quotidiani, esistono altri virus, distanti da noi, ben più pericolosi: la malaria, la Tbc, la denutrizione. Nel 2020, solo in Italia le vittime del Covid-19 sono state oltre 75mila, mentre nell’altro mondo (Africa Sub-Sahariana, India, America Latina e Centrale), quasi un milione di persone sono scomparse per la malaria, oltre quattro milioni e mezzo per la Tbc e più di undici milioni per denutrizione (o a causa della fame), senza contare tutti gli altri morti anonimi.
In America o in Europa non era un problema se in Africa o in Asia o in Sudamerica moriva qualche milione di persone in più o in meno per quei virus di cui sopra, o per carestie, o cicloni, o terremoti: vedere i propri raccolti distrutti da un tifone, gli animali che muoiono per la carestia, vedere i figli ammalarsi perché senz’acqua e senza cibo, e poi morire.
La morte di un africano o asiatico non è mai stata un problema, perché valgono poco, apparentemente non producono nemmeno per la loro sopravvivenza e certo molto meno per il mercato. Per una società in cui il primo valore è il denaro, chi non produce è inutile, se non dannoso, perché finisce per mendicare alle porte degli Stati ricchi. Prende posto l’indifferenza, l’emarginazione ma quanti sanno dell’attuale tragedia del popolo Rohingya birmano o del quotidiano omicidio di massa in corso in Congo-Kinshasa? Eppure, il riso coltivato dai Rohingya finisce sui nostri piatti e andiamo fieri degli smartphone, computer e auto elettriche fabbricati con i minerali congolesi. Gli occhi e le orecchie chiusi sull’epidemia di difterite e morbillo dei Rohingya e sull’ebola usata come arma di guerra in Congo-Kinshasa. Un piccolo virus costringe il mondo intero a comprendere cosa succede altrove da molti anni.
L’esperienza del coronavirus ci ha dimostrato che tutti questi problemi sarebbero risolvibili e in tempi brevi. In meno di un anno si è trovato un vaccino contro il Covid-19. Invece il mondo come quello abitato da don Renato Rosso, che è quell’altro mondo, dopo decine di anni continua a essere flagellato da tutti gli altri virus con milioni di morti.
Il mondo occidentale, il mondo economicamente avanzato, tecnologico, perfezionista e poco attento ai guai provocati dalle malattie è stato messo in ginocchio da un virus invisibile, il SARS-CoV2. Soprattutto il nostro mondo avanzato ha cominciato a capire cosa vuol dire dipendere e piegarsi sotto il peso delle malattie.
In questi mesi, su Tv e giornali si è molto parlato dei vaccini, delle statistiche in Italia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti. Abbiamo sentito qualche intervento o tavola rotonda per riflettere sul Terzo mondo? Eppure, là ci sono miliardi di nostri fratelli e sorelle. Negli ultimi vent’anni sono stati fatti molti progressi e questo ci dice che è possibile sperare in un 2021 più umano e più creativo nella solidarietà. Nessuno si scoraggi, dunque, né si lasci vincere dalla paura di non farcela: la consapevolezza di stare “sulla stessa barca”, e di far parte di una umanità in diversi modi fragile e ferita, è stimolo di condivisione e possibilità di speranza e promozione umana. La domanda è dunque lanciata verso tutti i figli dello stesso creato: è forse giunto l’ora di conoscere sia il prossimo che il vero mondo dentro cui viviamo?
Claudio Rainero