INFERNI…
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Stamattina leggevo questa bella citazione tratta dal libro LE CITTÁ INVISIBILI di Italo Calvino: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Mi ha colpito perchè penso a quante volte – vivendo oggi la festa del Battesimo di Gesù – la celebrazione urgente di questo sacramento, soprattutto fino a qualche anno fa, veniva legata proprio alla paura dell’inferno. E magari bastava quel rito apotropaico e vagamente magico per deresponsabilizzarsi per sempre, tanto, al massimo, se l’avevi ricevuto, ma nella vita te ne dimenticavi, “ti facevi solo un po’ di purgatorio”.
Una concezione un po’ antievangelica, a dire il vero, perchè il senso del Battesimo non è tanto quello di avere paura di finire all’inferno, ma di “mettersi in fila” con Gesù non arrestati dalla paura della morte, ma vivificati ed energizzati dal desiderio di vivere e portare vita, come Lui ci ha insegnato. Un modo umano. Un modo di chi sa “mettersi in fila con gli altri” e con chi ha bisogno. Un modo che appartiene a chi sente lo sguardo benedicente e benevolente di Dio su di sé. E questo, insieme! In una comunità che diventa parrocchiale perchè fa accadere questo desiderio di vita proprio “tra le case” e nelle case, le nostre. Siamo privilegiati perchè l’attenzione e l’apprendimento continui ci vengono forniti ogni volta che accogliamo la buona notizia del Vangelo, – da soli o in Chiesa – con il cuore vigile e accogliente.
Non so se D’Avenia avesse in mente questa frase quando ha scritto il suo romanzo CIÓ CHE INFERNO NON É, dove racconta la vita di don Puglisi, il quale, nell’inferno del Brancaccio cerca con tutte le sue forze di ridare vitalità e mentalità nuove a chi veniva soffocato dalle logiche della mafia. Uno splendido dono per ridare vita agli altri e dare la propria sino alla fine. Che meraviglia pensare così il Battesimo! Insieme, e con Gesù.