XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Bicchieri d’acqua 

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

Maestro, quell’uomo non è dei nostri. Quel forestiero che fa miracoli, ma che non è iscritto al gruppo; che migliora la vita delle persone, ma forse è un po’ eretico o troppo libero, viene bloccato. E a capo dell’operazione c’è Giovanni, il discepolo amato, il teologo fine, “il figlio del tuono”’, ma che è ancora figlio di un cuore piccolo, morso dalla gelosia. «Non ti è lecito rendere migliore il mondo se non sei dei nostri!». La forma prima della sostanza, l’iscrizione al gruppo prima del bene, l’idea prima della realtà! Invece Mosè, nella prima lettura, dà una risposta così liberante a chi gli riferisce di due che non sono nell’elenco eppure profetizzano: magari fossero tutti profeti…

La risposta di Gesù, l’uomo senza frontiere, è molto articolata e molto alla Mosè: Lascialo fare! Non tracciare confini. Il  nostro scopo non è aumentare il numero di chi ci segue, ma far crescere il bene; aumentare il numero di coloro che, in molti modi diversi, possano fare esperienza del Regno di Dio, che è gioia, libertà e pienezza.

È grande cosa vedere che per Gesù la prova ultima della bontà della fede non sta in una adesione teorica al “nome”, ma nella sua capacità di trasmettere umanità, gioia, salute, vita. Chiunque regala un sorso di vita, è di Dio. Questo ci pone tutti, serenamente e gioiosamente, accanto a tanti uomini e donne, diversamente credenti o non credenti, che però hanno a cuore la vita e si appassionano per essa, che sono capaci di inventarsi miracoli per far nascere un sorriso sul volto di qualcuno. Il vangelo ci chiama a «stare accanto a loro, sognando la vita insieme» (Evangelii gaudium, 74).

Chiunque vi darà un bicchiere d’acqua… non perderà la sua ricompensa.

Un po’ d’acqua, il quasi niente, una cosa così semplice e povera che nessuno ne è privo.

Gesù semplifica la vita: tutto il vangelo in un bicchiere d’acqua. Di fronte all’invasività del male, Gesù conforta: al male opponi il tuo bicchiere d’acqua; e poi fidati: il peggio non prevarrà.

Mosè e Gesù, maestri della fede, ci invitano a non piantare paletti ma ad amare gli orizzonti, a guardare oltre il cortile di casa, a tutto l’accampamento umano, a tutta la strada da percorrere: alzate gli occhi, non vedete quanti semi dello Spirito volano dappertutto? Quante persone lottano per la vita dei fratelli contro i démoni moderni: inquinamento, violenza, fake news, corruzione, economia che uccide? E se anche sono fuori dal nostro accampamento, sono comunque profeti. Sono quelli che ascoltano il grido dei mietitori non pagati (Giacomo 5,4) e ridanno loro parola, perché tutto ciò che riguarda l’avventura umana riguarda noi. Perché tutti sono dei nostri e noi siamo di tutti.  ERMES RONCHI 

AIUTIAMOLI A CASA LORO … II

INCONTRO CON ANSELME 

Lunedì sera 23 settembre abbiamo iniziato le nostre serate della settimana dedicata alla festa del Divin Maestro con un amico speciale oltre che parrocchiano: Anselme; ringraziamo lui e la sua famiglia, perchè Anselme non lavora  da solo ma in armonia con la moglie e i figli: cosa non facile per il tempo richiesto e l’impegno che richiede ogni giorno, e magari per il solo fatto di non riuscire a vivere una vacanza come tutti perchè il papà è impegnato fuori casa per molto tempo. Quest’estate abbiamo documentato tutto il suo viaggio in Congo e il suo insegnamento all’Università sul sito della nostra Parrocchia (vedi la voce del Menu IN DIRETTA DAL CONGO … https://www.divinmaestro.it/in-diretta-dal-congo/) 

Lo scorso anno, con la Parrocchia e l’ausilio di Fulvio,  con molta fatica abbiamo iniziato ad attivare dei progetti di microcredito e stiamo provando a portarlo avanti con molta speranza. 

Stasera lo accogliamo per aggiornarci, per vedere a che punto siamo e che cosa possiamo fare per coscientizzarci in modo più preciso e agire nel modo possibilmente più intelligente e utile. 

Anselme ha detto al Signore: “non ho nessun mezzo, ma se tu lo vuoi mi metto a disposizione per il mio Paese”. E Anselme inizia a seguire gli studenti dell’Università di Agraria di Kinshasa. 

L’urgenza più grande in Congo oggi non è nessun raffinato discorso filosofico, ma la SOPRAVVIVENZA. Nel Congo, che è lo Stato più ricco del mondo: l’80% dei materiali per tenere in vita la tecnologia contemporanea si trova in Congo. Tanti minerali, materiali, si trovano solo in Congo. 

E allora TUTTO IL MONDO É IN CONGO .. tutti gli Stati del mondo lo sfruttano e la meta è destabilizzare tutto per potere confondere e rubare. 

Accanto c’è incapacità da parte delle Autorità di agire in modo giusto. Anzi, a servizio delle potenze del Mondo. 

Il compito di Anselme è aiutare a passare dalla sopravvivenza alla VITA. 

C’è un detto in Congo che dice che “educare una donna significa educare tutto un popolo”, perchè quello che fai con lei lo fai con un figlio, un marito, un nipote e una realtà molto grande. Per questo Anselme è molto attento al contatto con le donne. 

Nel 2023 si costruiscono molti nuovi edifici all’Università di Agronomia dove Anselme è docente,  e le aule rimaste per insegnare sono molto “di fortuna”, tra tendoni e strutture precarie. 

I ragazzi capiscono che qualcuno sta combattendo per loro e Anselme sente tutto il loro affetto e la loro protezione anche in momenti di paura. 

Attorno al 2024 ci sono le nuove aule. É importante mettere assieme le cose. Si lavora molto per imparare la COLLABORAZIONE e la condivisione delle cose capite. Su alcuni campi gli studenti iniziano ad allevare i polli per imparare a essere autonomi e non dipendere da finanziamenti esterni. C’è voglia di lavorare.

Per dare possibilità di pratica e realizzazione, Anselme arrivando dal Piemonte, prende un contenitore dove mette dentro le barbatelle di Dolcetto per proporre una “pratica”. La sfida è chiedersi se il dolcetto può crescere in Congo … ebbene, in quella circostanza disastrosa … oggi è nata l’uva! É un campo sperimentale che aiuta a mettere in pratica.

Insegnare a lavorare assieme, fissare degli obiettivi da raggiungere, cercare di capire, diventa importantissimo per coscientizzare le persone. 

 L’ambasciatore italiano in Congo lo convoca per presentare il suo progetto e cercando di mettere in collegamento con la rettrice di Agraria, con l’idea di lavorare con Università e a costruire un Centro di ricerca avanzata sulla frutticultura ma principalmente sull’agricoltura idroponica, ossia la coltivazione delle piante nell’acqua. Richiesta un po’ desueta vivendo in un contesto dove piove 9 mesi all’anno e ci sono 80 milioni di ettari per coltivare quello che vuoi. Il che significa che si va a investire nell’agricoltura idroponica con tecnologia avanzate e se qualcosa si guasta, il tecnico deve arrivare dall’Italia per aggiustare e tutto dipende da chi produce e gestisce le macchine … e ti chiedi a chi serva veramente questo progetto, non creando condizioni per l’autonomia locale ma per il mercato di chi si propone. 

Bisogna vedere quanta gente lo capisce. 

Agli studenti Anselme vuole insegnare il SENSO CRITICO, la coscienza critica davanti ai progetti che vengono proposti. 

Oggi il contesto è nuovamente assai critico. Ci sono tante idee sulle quali ragionare. É facile scoraggiarci, ma la speranza vuole essere sempre accesa, l’avventura continua e Dio permetterà qualcosa! 

Come possiamo aiutare noi? 

Non sono le cose che mancano, ma per spostare un container ci sono prezzi altissimi alla dogana.

L’idea oggi è trovare delle banche etiche che operano anche in Congo e la Parrocchia si fa garante di un prestito che possono dare ai giovani e alle persone bisognose mettendo un tetto di una cifra che permette di creare imprese locali e restituire piano piano i prestiti. La difficoltà è che diventa difficile procedere. 

Il lavoro procede … con l’aiuto di tutti! 

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – B

LA PAROLA DI DIO 

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Tre parole, tre frasi che possono accompagnare la nostra riflessione settimanale sulle orme del Vangelo, parole che, se vissute, ci renderanno sempre più capaci di scegliere come “dire Gesù” nel mondo, non parlando ma vivendo la Sua Parola. 

  1. DI COSA STAVATE DISCUTENDO PER LA STRADA? Non semplicemente un “pour parler”, ma, più incisivamente: quali sono i pensieri che danno vita alla vostra vita? Perchè la nostra vita dipende totalmente da quello che portiamo nella nostra testa. Per questo ogni tanto è importante fermarci per domandarci: ma quali sono i pensieri che ci abitano? Cosa portano nelle nostre esistenze? Sono distruttivi o costruttivi? Aprono strade o chiudono possibilità? Cosa significa pensare secondo il Vangelo?  
  2. SE UNO VUOL ESSERE IL PRIMO, SIA L’ULTIMO DI TUTTI E IL SERVITORE DI TUTTI: Ci pensate come sarebbe liberante se ognuno di noi quando fa qualcosa non lo facesse per se stesso ma per il valore che ha ? Fare il bene senza sentirsi dire grazie. Salutare anche senza ricevere un saluto. Fare un gesto gentile anche senza riconoscimento. Avere la libertà di occupare l’ultimo posto senza essere notati … mmmhhh, che bella libertà che si respira. Aria di Vangelo!
  3. ACCOGLIERE. Questo è il solo verbo che ci rende discepoli di Gesù. Gli altri, troppo moralistici o volontaristici o religiosamente prestazionali sono solo a servizio del nostro narcisismo malato, che non capisce che l’IO inizia a respirare non perchè sta in mezzo a tutto, ma perchè ha trovato il suo CENTRO. 

XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

LA DOMANDA DELLE RISPOSTE

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
 E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

Arriviamo da sette giorni di APERTURA: Gesù domenica scorsa dava al sordomuto, quasi come un monito di guarigione per permettere alla comunicazione di riattivarsi, questo comando: EFFATA! APRITI! Non so questa settimana quanto ci siamo fatti accompagnare da questo imperativo esistenziale. Non so se siamo riusciti ad approfondire attraverso le Parole del vangelo di ogni giorno la verità di questa azione di fiducia: tanta ricchezza, tante chiavi di lettura, tante strade da aprire di nuovo sono state offerte!

E il Vangelo di domenica ricomincia proprio su una strada. Sempre il Vangelo ricomincia per strada, perchè è un CAMMINO, un insieme di passi dietro al Maestro, che riprende in terra pagana: a Cesarea di Filippo. Anche per noi, nelle nostre “interiori terre pagane” da evangelizzare deve risplendere la luce dell’annuncio di Gesù. E Gesù riparte sempre di lì, senza timore. Domenica scorsa faceva il giro strano da Tiro, a Sidone, alla Decapoli, non c’è terra indegna della sua presenza perchè il Figlio di Dio si immerge in ogni zolla della nostra contingenza salvata. 

La strada viene accompagnata da due domande che dicono il naturale modo per conoscere il volto di Dio nel Figlio. Dal “sentito dire” all’”esperienza personale”. Da ciò che si dice a catechismo, in famiglia, in TV e lungo la strada a una risposta personale. “Ma voi!”. E io? Cosa so dire di Gesù? Se qualcuno mi domanda saprei dare una risposta, dare ragione della mia speranza, riempire di passione il mio interlocutore assetato di senso? Chi è Gesù per me? 

Gesù sa che il suo cammino non è facile. Sa che anche il nostro non lo è. Sa che DEVE SOFFRIRE (non dice che lo VUOLE). Sembra che starGli dietro sia anche per noi una sofferenza, una rinuncia, un rinnegamento e una mortificazione che ti impediscono di gioire: così non è! La sua (e la nostra) non è una sofferenza fine a se stessa, ma capace di aprire nuovi orizzonti, il “perdere qualcosa per Lui e per il Vangelo” non è un buttare via qualcosa, ma anzitutto un TROVARE e un SALVARE che rendono la nostra vita degna di un nome così grande e finalmente capace di cammini sensati.  

La domanda di Gesù mette in moto. Leggevo una frase bella del Vescovo di Pinerolo: “la domanda non serve per la risposta, ma perchè ti sposta”.  Proviamo anche noi questa settimana a darci la risposta, magari proprio a partire da quello che ci dice il Vangelo, e non semplicemente perchè l’abbiamo sentito! 

XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

NAVIGATORI IMPAZZITI 

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

GPS IMPAZZITI 

Gesù aveva un TomTom che non funzionava, un gps impazzito che non mostrava le strade seguendo il percorso più rapido o più conveniente,  ma col solo desiderio di portare amore, guarigione, senso e contenuto a tutte le persone che incontrava. Esce da Tiro, passa per Sidone, va sul mare in territorio della decapoli, seguendo la strada del cuore rimesso al centro di ogni cosa! Senza nessuna logica! D’altronde, la sostanza dell’amore è solo questa: la mancanza di logica e di calcolo! Che bello credere in un volto di Dio proprio così. Insensato nella sua illogica logica di prossimità ai figli di Dio come un fratello, per tutta la vita, nella morte e oltre la vita. 

IN DISPARTE 

Sembra che l’estate sia finita. Un temporale più forte del solito, le giornate che si accorciano, la ripresa delle attività, e la fatidica sensazione, nonostante il caldo, che come al solito questa stagione passi troppo in fretta. Per qualcuno sarà una benedizione, per altri no, soprattutto per chi non è soddisfatto della propria vita e del proprio cammino. Il problema, però, non è il tempo che passa, ma noi che non abbiamo imparato a stare nel tempo e ad attraversarlo in modo sensato e significativo. Ma fino a quando non capita questa cosa non saremo mai in grado di essere soddisfatti di quello che siamo, perchè dentro di noi non abbiamo le risorse per intraprendere con decisione e chiarezza i nostri percorsi personali. Per questo Gesù per guarire il sordomuto non si limita a fare un “gesto sacerdotale” (imporgli la mano), ma lo porta in disparte prima di operare il miracolo della sua trasformazione. Noi quanto tempo siamo stati LONTANI DALLA FOLLA, dai rumori, dalle cose di tutti i giorni, dalle solite notizie, dai discorsi fatti per uccidere il tempo per ritrovare un po’ noi stessi nella verità di un po’ di silenzio terapeutico e veritativo? 

APRITI! 

Apri la porta! Apri il cuore! Apri tutto ciò che è chiuso e impedisce alla vita di circolare, sembra dire Gesù a questo uomo sordo legato nel suo modo di ascoltare e parlare. Comunicare significa vivere. Se non parlo e non mi metto in relazione sono un oggetto tra tanti oggetti. Potrò sbagliare, ma solo il primo passo che mi fa “uscire dalla mia terra” per rimettermi in contatto con la voce di Dio e il cuore affaticato e gioioso di tanti fratelli mi permetterà di ripartire. Che risuoni come un mantra questo comando di Gesù: “APRITI, APRITI, APRITI” … non sembra una parola rivolta a un organo tappato, ma una preghiera che scioglie le nostre paralisi. Apriti e vivi! Porta il tuo contributo positivo all’universo. Leggevo sta settimana un pensiero di Jean Paul Sartre, che, a età avanzata scriveva di avere vissuto una “vita sdentata”, ossia senza morsi e senza “mordente”, e, al termine della sua parabola esistenziale constatava con amarezza di essere ormai rimasto senza denti. E allora, mettiamoci pure una protesi, una dentiera, ma mordiamo, viviamo: APRITI!