FRUTTI DI CONVERSIONE
DAL VANGELO SECONDO LUCA
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
Il vangelo di domenica si apre con la narrazione di due disgrazie provocate dal male: una voluta da un uomo, Pilato, che nel suo delirio di onnipotenza non si fa scrupolo a uccidere e fare un sacrilegio nel Tempio di Gerusalemme con la carne umana (i sedicenti potenti, si sa, non guardano in faccia nessuno, non vivono relazioni empatiche e dove passano radono al suolo). L’altra disgrazia, invece, provocata da un incidente imprevisto: il crollo di una torre.
Disgrazie dove Dio non è chiamato in causa da Gesù per averle originate, ma eventualmente coinvolto “rispondendo” nel suo personale e totale coinvolgimento di una vita e una morte come le nostre – in Gesù – che non si arrestano neanche di fronte alla morte e alla manifestazione dei mille volti del male che ogni giorno ci spaventano e ci sorprendono.
Ciò che accomuna entrambe le scene è l’improvviso che irrompe a sconvolgere e la sorpresa amara di qualcosa che non vorremmo mai. Per questo la Quaresima è un momento importante: per chiederci cosa dà energia e forza al nostro IO impaurito che si nutre della sua sola autoreferenzialità.
Per questo Gesù prega noi uomini di convertirci, di cambiare quelle strade che non ci stanno portando da nessuna parte se non alla nostra totale distruzione: Convertitevi (!) “non è una minaccia, non è una pistola puntata alla tempia dell’umanità. È un lamento, una supplica: convertitevi, invertite la direzione di marcia: nella politica amorale, nell’economia che uccide, nell’ecologia irrisa, nella finanza padrona, nel porre fiducia nelle armi, nell’alzare muri. Cambiate mentalità, onesti tutti anche nelle piccole cose, e liberi e limpidi e generosi: perché questo nostro Titanic sta andando a finire diritto contro un iceberg gigantesco. Convertitevi, altrimenti perirete tutti. È la preghiera più forte della Bibbia, dove non è l’uomo che si rivolge a Dio, è Dio che prega l’uomo, che ci implora: tornate umani! Cambiate direzione: sta a noi uscire dalle liturgie dell’odio e della violenza, piangere con sulle guance le lacrime di quel bambino di Kiev, gridare un grido che non esce dalla bocca piena d’acqua, come gli annegati nel Mediterraneo. Farlo come se tutti fossero dei nostri: figli, o fratelli, o madri mie” (E. Ronchi). Parole del contadino che non si stanca mai di aspettare, di zappare attorno alla terra e mettere concime in grado di permetterci di convertirci a una vita fruttuosa e “pasqualmente” vitale come quella della pianta del fico. Ancora per un anno.