SCUTA!
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
Sembra una domanda da niente quella che lo scriba rivolge a Gesù, ma per uno che si barcamenava dal mattino alla sera tra 10 comandamenti, 365 precetti e 248 prescrizioni che dovevano servire a cercare e definire in modo sempre più preciso il senso del comando di Dio, chiedere quale sia IL PIÚ IMPORTANTE significa: “qual è quella unica parola, quel comando, quell’orientamento dal quale dipende tutto il resto?”.
Significativo chiederlo al Signore, che aveva la pretesa di essere IL Figlio di Dio, dunque Colui che viveva come il Padre, che lo conosceva, che ne poteva parlare a pieno titolo. Ancora più sorprendente che Gesù riduca tutto quel dedalo intricatissimo di numeri e collegamenti a un unico comandamento sorgivo: quello dell’amore di Dio, del prossimo e di se stessi, che soltanto nella loro unità possono salvaguardare il gesto del dono della propria vita. Perchè se non so amare me stesso non so amare neanche il mio prossimo, e se non so amare il mio prossimo – volto visibile dell’invisibile presenza di Dio – non posso neanche dire di amare il Signore.
Altra cosa interessante: siamo davanti a un comandamento. Di solito quando si da un comando si usa l’imperativo; ebbene, nella formulazione del comando non compare a proposito dell’amore, che viene coniugato al futuro (“amerai”), ma a proposito dell’ascolto: “Ascolta, Israele!”. Come dire: se non c’è un ascolto non c’è amore, e se non c’è amore … non nascono neanche le storie d’amore, ossia quelle delle nostre umanissime vite. “Che cosa mi dice questo testo? Che cosa dico io a “lui”, partendo dalla mia esperienza di vita? Cosa mi suggerisce, mi smuove, mi propone … mi irrita?”.