VENTICINQUESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

POSTI

 

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «
Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «
Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

 

  1. In un tratto della lettera a Timoteo, Paolo scrive: “Custodisci il dono della Parola Profetica che ti è stato fatto” . L’apostolo parla accoratamente e con passione a Timoteo spiegandogli gli atteggiamento da avere nella comunità a lui affidata, raccomandandosi anzitutto di “custodire il dono della Parola”. Noi siamo custoditi dalle parole – che custodiamo dentro di noi –  scelte per custodirci. Custodire è un gesto che richiede il desiderio del cuore e l’operosità delle mani e della libertà. Si custodisce quello che si vuole proteggere, perchè si sa essere delicato e bisognoso di cura, perchè si sa che la preziosa fragilità cristallina della Parola di Dio – che vorrebbe custodire la nostra vita – è sempre soggetta e aggredita dalle urla delle parole vuote, depotenzianti, arroganti, false, scoraggianti che a volte galleggiano senza governo nella galassia delle nostre menti. La cura ci chiama. Ci interpella. Ci fa domandare: ma io sono custode di ciò che credo e del dono che Dio mi rivolge ogni volta che gli apro il cuore? Che cosa faccio per custodire il dono del Vangelo nel mio cuore? 
  2. La parola profetica: o meglio, LA PAROLA CHE É Gesù, perchè Gesù è la carne della voce di Dio, si rivela in quella rivolta ai discepoli (noi) : «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà» e «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Noi cristiani non siamo diversi dagli altri: anche noi cerchiamo la vita, anche noi vogliamo essere i primi, non sono cose cattive. Il problema è che le strade che percorriamo non ci portano lì. La “pretesa” del Figlio di Dio nei nostri confronti è quella di indicarci la strada vera della vita, di dirci come si fa a essere i primi non nel senso della celebrità che abbiamo in testa, ma del valore della nostra umanità, che diventa un dono. 
  3. Infatti  per la strada … avevano discusso tra loro chi fosse più grande”. Possiamo farlo anche noi, tranquillamente, ma non con lo spirito di competizione che miete vittime attorno a sé abbattendo anche il “cecchino”, che è condannato a morte nella sua solitudine sterile e mortifera, magari circondato da tante cose, che gli avrebbero presumibilmente rubato le vittime della sua tristezza. La Parola di Dio ci indica una gara diversa, assai liberante questa: la libertà di stimare il prossimo.  Propongo due testi da meditare: “amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rom. 12,10) e “Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (Fil. 2,3). Prospettive diverse, ma possibilmente per frutti, frutti buoni!