UNDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Piccoli semi crescono … 

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono
nell’orto; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

 

Come sono liberanti le parabole e le parole di Gesù. Nessun protagonismo! Anzi! Il Regno di Dio (la presenza della logica di Gesù nella testa e nel cuore) non cresce quando ci sono delle persone che “fanno solo delle cose” (chiaramente, anche), ma quando, prima di tutto, ci sono degli uomini e delle donne disponibili che, avendo capito di essere terreno fecondo a seconda del seme che ospitano e fanno morire e nascere al loro interno, portano molto frutto e frutto di ottima qualità. E Gesù non si stanca mai di ripetere che il Padre Suo è glorificato quando la vite (la pianta, noi) porta frutto. Grande questa notizia: Dio è contento quando capita qualcosa di bello a NOI, non a Lui; ed è pieno di gloria e “al settimo cielo” se i suoi figli si fanno incontrare e ispirare dalla potenza vitale di quel seme che un uomo “getta” con grande abbondanza e … dappertutto!

Poi se il terreno accoglie, custodisce, facendosi “cura” della potenzialità di vita che ha dentro di se’,  allora capita il miracolo: “produce spontaneamente” . Questo vuol dire FARE ESPERIENZA di “altro” rispetto a me e a noi (per fortuna); vuole dire essere consapevoli che noi stessi diventiamo la storia di un seme e che viviamo solo perchè ce ne è continuamente data la possibilità: è un grande piacere, è il miracolo che fa apprezzare la sorpresa di non sapersi mai soli. Quel piacere che motiva i nostri “doveri”.  Diventare frutto, poi,  permetterà di metterci in relazione con il nutrimento e la fame di altri. E la vita diventa moltiplicazione di gesti vitali… C’è un altro elemento molto interessante nella parabola di Gesù: la pianta di senape che da semino millimetrico si trasforma in un albero di due o tre metri è una pianta dell’orto, ossia di quell’appezzamento di terra, piccolo e famigliare, che produce buon cibo per piccoli gruppi di persone: anche il Regno, nella sua capacità e sapienza trasformata, càpita nella “normale quotidianità” della vita, dove non esiste mai una linearità senza rotture, dove le nostre apparenti totalità e pienezze vengono continuamente assalite da numerose mancanze, dove la luce sembra essere sempre abitata dalle ombre … insomma, di nuovo, la normale normalità di tutti! Qui il piccolo seme, quando viene ospitato ci promette che farà produrre qualcosa di nuovo, di spontaneo, di differente e di vero diventando la storia di chi decide di rimanere con Gesù, che, come dice un canto che ormai stiamo facendo tutte le volte che celebriamo le Prime Comunioni, sfida le nostre morti e entra nel nostro buio per trasformarli in vita e luce.