QUINTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Donna, malata… e suocera! 

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni. 

(Mc. 1, 29 –  39) 

Ce le aveva tutte la poveretta: era donna, era suocera, era malata. Perchè la vita a volte è così: si accanisce, si mette a mordere le giunture e a rosicchiare le ossa della sopportazione  del suo  peso e in quel momento non si sa più cosa fare: che ti venga anche una febbre che ti stende a letto è il minino. Per lo meno come reazione. 

In una società, poi, dove la donna contava veramente poco, in cui si è  suocera (magari anche anziana, ma questo non lo sappiamo), anche una piccola febbre è un grande problema, perchè la donna mettendosi a letto deve farsi servire anziché servire gli altri. Mi sembra ampiamente irrilevante come una  pietruzza che ti si infila nella scarpa: che sarà rispetto ai grandi mali? Intanto tu non puoi più camminare bene, e tutto risulta compromesso. 

Ci sono due cose che fanno un vero e proprio miracolo e possono fare la differenza.

a. La prima è che c’è qualcuno che se ne accorge e fa qualcosa: avvisa il Maestro, lo fa SUBITO, senza aspettare troppo tempo. Più tardi, di notte, invece, qualcuno  “porta” i malati davanti a Gesù.  Ci sono dei mediatori che parlano, che portano, che permettono che qualcosa possa accadere. Non faranno i miracoli, ma li permettono. Questo è già miracoloso. Roba non da poco.

b. E poi Gesù, che fa il miracolo scomponendolo in gesti di una tale umanità che possono diventare appannaggio del nostro modo di “muoverci” accanto a chi soffre: SI AVVICINA, RIALZA e PRENDE PER MANO. Come dire: “io ci sono, fattivamente. Io non ti alzo, ma ti offro qualcosa di me, del mio tempo, delle mie capacità, che permette a te di rialzarti. Ti dò la mia mano: curo, proteggo, abbraccio, circondo, scaldo”. (Notiamo anche che “non dice una parola”, non consola dicendo che la sofferenza ci salva, fa solo dei gesti di amore). 

Intanto continua quella giornata iniziata sulle rive del lago di Galilea. Dove i discepoli IMPARANO IL MAESTRO stando con Lui, o meglio, seguendolo, perchè Gesù è imprendibile, solo “seguibile”, e solo in quel movimento perpetuo di inafferrabilità (costitutivo di chi è libero e non si fa possedere da nessuno, neanche dal successo e neanche dagli inseguimenti celebrativi) si rivela rivelando a chi lo segue chi sia un discepolo: uno che scopre il senso della propria vita CAMMINANDO e FERMANDOSI. Uno che “beve” nei luoghi deserti del silenzio quando si mette a pregare quel Padre capace di ridare le energie per ricominciare luminosi e nutriti mattini … di nuovi cammini. Interminabili ma destinati al grembo di ogni cosa, anche laddove c’è la febbre da curare, anche se tutta la città (tutta!) si raduna davanti alla porta e tu non riesci a fare niente. Ma ci sei e ti avvicini, dai la tua mano, alzi e permetti qualcosa. Possiamo farlo anche noi!