30 APRILE, GIOVEDÌ

Cosa mi impedisce? 

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: «Àlzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ecco un Etíope, eunùco, funzionario di Candàce, regina di Etiòpia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaìa.
Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti e
accòstati a quel carro». Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaìa, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui.
Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:“Come una pecora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca. Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, la sua discendenza chi potrà descriverla? Poiché
è stata recisa dalla terra la sua vita”.
Rivolgendosi a Filippo, l’eunùco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù.
Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunùco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua;
che cosa impedisce che io sia battezzato?». Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunùco, ed egli lo battezzò.
Quando
risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunùco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada. Filippo invece si trovò ad Azoto ed evangelizzava tutte le città che attraversava, finché giunse a Cesarèa.

Non so se capita anche a voi, ma a volte le parole mi fanno venire in mente delle canzoni.

Oggi, nel racconto degli Atti degli Apostoli, la parola “carro” ha fatto venire a galla (dal deposito oggetti del mio cervello) uno spiritual che a me piace molto: Swing low, sweet chariot … Ossia “dondola dolce carro … arriva per portarmi a casa”. 

Anche su un carro, sulla strada che  scendeva da Gerusalemme a Gaza,  l’Eunuco stava tornando a casa dopo aver visitato la città santa del popolo eletto. 

(Quanto assomiglia, questo inizio, a quello della famosa parabola del Buon Samaritano, dove un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico). 

L’uomo eunuco legge il rotolo del profeta Isaia dove si parla del Servo di Jhawhè, descritto come pecora condotta al macello, dalla indescrivibile discendenza, la cui vita é stata recisa dalla terra. 

Proprio come  lui: senza possibilità di discendenza, senza possibilità di appartenere al popolo eletto, allontanato dalla stessa Legge di Mosè, perché impossibilitato di portare sulla carne il segno dell’alleanza … sarà anche stato amministratore di tutti i beni della regina di Etiopia, ma puoi avere tutte le cose della terra, se la vita non ti scorre dentro, se il futuro ti è chiuso, vivi da morto (non è di nuovo il poveretto della parabola, malmenato e buttato violentemente in un fosso?). 

Solo la spiegazione di quella parola – da parte di Filippo – sentita tanto enigmatica quanto vicina alla vita del suo lettore, diverrà comprensione, attraverso l’annuncio di Gesù – Salvatore di ogni uomo –  che anche per l’eunuco la vita non era giunta al termine, ma anzi, attraverso il gesto del Battesimo, che “liquefaceva” tutti quei pensieri così distruttivi, poteva entrare nel senso di una vita salvata e destinata a essere feconda e piena di futuro perché radicata nel Dio che dà la vita a tutti i figli che lo accolgono come loro Salvatore. 

Filippo diventa il Buon Samaritano dell’annuncio di una Salvezza, che è tale a partire dal momento dell’accordo di una fiducia accogliente e ospitale. Dal momento in cui, come ci ricordavano i ragazzi domenica scorsa, la “locanda” del cuore apre la sua porta al messaggero e al Messaggio che “non c’è morte che tenga” nell’orizzonte del Vangelo e della speranza che annuncia. 

Il solitario eunuco non è più lo stesso: quando risale sul suo carro è pieno di gioia! 

E pieno di gioia prosegue la sua strada. Ossia, vive. Vive riempito da una presenza che sarà luce continua sul suo cammino. 

Ora, io penso che questa Parola ci riguardi tutti da vicino. Forse l’eunuco è anche nostro compagno di viaggio, anche lui si accosta a noi, sale sul nostro carro, scende con noi per battezzarci e ricordarci che mai nulla (se non noi) ci impedirà di immergerci nell’acqua che dà vita e continuare, con lo sguardo risollevato, anche se con fatica, il nostro cammino. Personale e comunitario. 

29 APRILE, MERCOLEDÌ…

CONFLITTI

Dagli Atti degli Apostoli

In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme; tutti, ad eccezione degli apostoli, si dispersero nelle regioni della Giudea e della Samarìa.

Uomini pii seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per lui. Sàulo intanto cercava di distruggere la Chiesa: entrava nelle case, prendeva uomini e donne e li faceva mettere in carcere.

Quelli però che si erano dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola.

Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città.

Dal Vangelo secondo Giovanni

Voi mi avete visto, eppure non credete.

Un pensiero:

Perché si dice che la Parola di Dio è Parola di vita? 

Anzitutto perché contiene e trasmette la Vita, che è Gesù, ma poi perché parla sempre DELLA nostra vita e ALLA nostra vita. 

Il mondo e le situazioni nelle quali accade, se facciamo attenzione,  corrispondono inevitabilmente alle location delle nostre personalissime esperienze, e proprio lì – se ci crediamo – può accadere l’incredibile esperienza di avere trovato quel “tesoro” che ci permette di investire in qualcosa che, a dispetto di ogni contraddizione, ci consente di non fermarci mai, ma anzi, apre scenari inaspettati, inediti e sovente assai fruttuosi. 

Proprio come capita nel Libro degli Atti degli Apostoli: si apre con una violenta persecuzione e si chiude con grande gioia in quella città.

Una persecuzione è un evento drammatico: c’è  addirittura un super fariseo (come si definiva Paolo) che cerca di distruggere la Chiesa.  

Cosa succede però? Quelli che si erano dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola, e quelli che sentivano erano molto interessati vedendo anche dei segni in grado di liberare dagli spiriti malvagi, di rimettere in piedi, di riallineare cammini  … INIZIA COSÍ L’EVANGELIZZAZIONE. 

Non è che la stessa cosa capita così anche nelle nostre vite? 

Non è che proprio nei momenti di massima “agitazione” interiore, insicurezza e minaccia il ricorso alla speranza, che è Gesù, sia l’unica vera forza e vita in grado di riempire, ancora e nonostante tutto, le nostre membra infiacchite, ferite  e demotivate? Il nostro confidare in Lui la porta di accesso a processi di trasformazione altrimenti impossibili? In quel momento capita che un evento, brutto come una persecuzione, che per noi può avere mille volti diversi,  diventi la possibilità di scoprire veramente l’alleanza con quel  Salvatore che crea in me un respiro nuovo, rieduca i passi del mio cammino e mi fa rialzare. 

E ritorna la gioia che non è l’ebete sorriso incantato di chi “lascia che sia, tanto ci pensa Dio”, ma operosità rinnovata e rinvigorita in un cuore che ospita il Risorto. 

E capisci che quella città della Samaria, sono proprio io. 

Sono proprio io che devo essere evangelizzato! Ossia, che IO devo diventare Vangelo,  IO devo essere nutrito, istruito, fecondato,  saziato e guidato da quella PAROLA DI VITA. 

Se la mia relazione con Gesù non passa di lì, anche se sono un super-cristiano, rischio proprio di vivere quella situazione che Gesù  sbatte in faccia ai suoi interlocutori: VOI MI AVETE VISTO, MA NON CREDETE. Noi lo vediamo, andiamo a Messa, diciamo le Preghiere: ma. … permettiamo alla Parola di Dio di evangelizzarci, ossia di rendere la nostra  vita COMUNICAZIONE BUONA, ricevuta e donata?

Leggevo queste belle parole di Michaeldavide Semeraro: “ogni volta che la Parola di Dio ritrova il suo posto d’onore non solo liturgico, ma esistenziale nella vita delle comunità ecclesiali e nel vissuto di ogni singolo credente, le cose, pur rimanendo uguali nella sostanza, sono avvertite in modo profondamente diverso”.

Quindi, anche  se dobbiamo ancora aspettare qualche giorno in più per celebrare insieme l’Eucarestia, la nostra recezione esistenziale della Parola può sempre avvenire. 

A partire di lì troviamo vita.

E poi faremo festa. 

Per riflettere: 

Domande che dovremmo farci ogni volta che ascoltiamo o leggiamo la Parola di Dio: 

“É reale? Mi riguarda? Mi appella? Mi rendo conto che è possibilità unica di rigenerazione?” 

28 APRILE, MARTEDÌ ….

PROFESSIONISTI

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, la folla disse a Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”».
Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane».
Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Sarà che noi sappiamo come inizia e come finisce il Vangelo, ma, davanti a certi dialoghi, soprattutto quelli tra Gesù e i suoi “avversari” (farisei, dottori della Legge, grandi sacerdoti in primis), c’è proprio l’impressione che certe domande e richieste, più che realizzare una comprensione sempre più libera e approfondita del Figlio di Dio, servano a confondere, rinviare, inventare e confermare le proprie idee e i propri pregiudizi nei confronti di uno che … è meglio fare fuori! 

Il volto del discepolo, allora, si trasforma nel muso ingrugnito di chi non vuole farsi incontrare, ma anzi, vive soltanto di scontri e opposizioni. Il genuino desiderio di ricevere vita da un maestro di vita nella professionalità di abili inventori di vere e proprio scuse. 

Anche la pagina di oggi – che prosegue la scena della moltiplicazione del pane e dei pesci, e la conseguente ricerca di Gesù per “farlo  re” (risolto il problema della fame!) – lascia per lo meno titubanti: puoi ancora domandare: “quale segno compi perché vediamo e ti crediamo?”? Ti viene da chiedere, ma … “c’eri e non c’eri?” Oppure, in modo più figurato, “ci sei o ci fai?

Gesù risponde riconducendo il principio e il senso di ogni cosa al Padre: “è il Padre mio che vi dà il pane …. “ e il “pane in questione”, ossia, il cibo che dà vita, è proprio Lui, quel Figlio che rimanda costantemente alla Sua e nostra Sorgente. 

Rimettere a posto “l’ordine delle cose”, forse è la sola possibilità per comprendere che:

  1. Gesù vive come “segno” per le nostre strade di vita. Colui che ci mostra cosa significhi vivere “da uomo” secondo il pensiero di Dio. 
  2. Gesù vive fidandosi del Padre e della sua affidabilità, fidandosi di quel comando di vita che corrisponde al dono della propria vita. Ossia, tu ti nutri del Pane di vita per diventare vita attraverso il pane che sei tu. “Trova la vita chi la dona” dice in un’altra pagina del Vangelo. Ma forse, ancora più vero: “chi non ama rimane nella morte”.  La decisione di amare è la sola possibilità di rimettere in moto e in gioco la forza della vita, di rinascere e aprire nuove possibilità. 
  3. Non basta MANGIARE il pane, occorre NUTRIRSENE. Non sempre il nostro modo di mangiare corrisponde a nutrizione e assimilazione, a volte ha più la forma di un trangugiamento,  di un divorare che prescinde dalla possibilità di sentire il gusto e il profumo di quello che metti in bocca. Gesù traduce la cose dicendo: “chi VIENE a me … chi RIMANE in me”. Nutrirsi di Gesù è un’azione, una scelta, che mette in gioco il mio andare quotidiano verso di Lui e il desiderio di “stargli accanto”, come i discepoli di Emmaus, per capire che, anche se viene la sera, almeno  una piccola e flebile fiammella sarà sempre lì, a indicare luce ai passi della nostra peregrinante vita. 

Buona giornata a tutti!  

27 APRILE, LUNEDI …

E TU, COSA GUARDI? 

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, Stefano, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni tra il popolo.
Allora alcuni della sinagoga detta dei Liberti, dei Cirenèi, degli Alessandrini e di quelli della Cilìcia e dell’Asia, si alzarono a discutere con Stefano, ma non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava.
Allora istigarono alcuni perché dicessero: «Lo abbiamo udito pronunciare parole blasfeme contro 
Mosè e contro Dio». E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo condussero davanti al sinedrio.
Presentarono quindi falsi testimoni, che dissero: «Costui non fa che parlare contro questo luogo santo e contro la Legge. Lo abbiamo infatti udito dichiarare che Gesù, questo Nazareno, distruggerà questo luogo e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato».
E tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo.

Tra tutte le cose intelligenti che i ragazzi hanno scritto ieri, per commentare il Vangelo dei discepoli di Emmaus, una mi risuona e torna in mente, leggendo la storia di Stefano narrata negli Atti degli Apostoli: “So che sto camminando a fianco di Gesù perché lo so che è li e mi accompagna, ma io faccio come i due discepoli di Emmaus, non me ne accorgo e continuo ad andare avanti, devo solo trovare la locanda in cui fermarmi e riconoscerlo”.

Stefano penso che abbia fatto lo stesso cammino, e, con tutto se stesso, ospitava, nella locanda del suo Cuore, la presenza del Maestro, al punto da fare prodigi e segni, proprio come Lui; al punto che quando lo calunniavano e lo interrogavano non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava; al punto che anche davanti alla tensione delle false accuse e del pericolo di morte videro il suo volto come quello di un angelo. 

Stefano aveva trovato la locanda per ospitare Gesù al cuore delle sue motivazioni e nel cuore della sua vita. Stava con Lui,  Lo viveva nei suoi gesti e nelle sue parole, si “fermava e lo riconosceva continuamente” permettendoGli di trasformare la sua vita. 

Insomma, FUORI noi siamo semplicemente quello che abbiano DENTRO.

Penso Stefano e penso la mia vita. 

Quante volte mi sento minacciato dalle calunnie, mi sento “in pericolo di morte”, perché c’è qualcosa di straziante e inatteso che pare sequestrarmi la serenità del cuore, gli imprevisti mi fanno continuamente degli sgambetti, pare che quello che costruisco con fatica ogni giorno mi interpelli diversamente ….  E mi chiedo: dove guardo in questi momenti? . Il mio volto è come quello di un Angelo? Ossia un volto i cui tratti non sono il frutto della tensione inconcludente, ma la fioritura dell’accoglienza di una Parola a cui guardo prima di ogni altra cosa (Angelo significa annuncio, ormai lo sappiamo a memoria), che ha il potere di dipingere tratti diversi e sempre nuovi, di una speranza accolta ma anche vissuta?

In questi giorni c’è una polemica sulle messe celebrate o no. 

Prima di questo, io penso che dobbiamo farci un’altra domanda: MA QUELLO CHE DICO E CREDO DI DIO, LA SUA PAROLA, STA TRASFORMANDO LA MIA VITA E IL MIO MODO DI STARE NEL MONDO? 

Senza questa domanda, neanche i Sacramenti hanno senso.  Diventano un mero esercizio rappresentativo, dove demandiamo a Dio la responsabilità sulle nostre vite, svincolandoci dal faticoso compito di cercare “non solo il pane che perisce, ma quello che rimane”. Proprio come Gesù dice a coloro che lo cercavano per farlo re dopo avere risolto il problema della loro fame. 

Lo sappiamo bene: le cose non le vediamo per quello che SONO, ma per quello che SIAMO! Noi! 

26 APRILE, TERZA DOMENICA DI PASQUA …

La PAROLA a …

Dal Vangelo secondo Luca

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

La PAROLA oggi va  a Michele, Rebecca, Lorenzo, Matilde, Alida, Luca, Carlotta, Matteo, Alice e a tutti i ragazzi del gruppo! 

LI RINGRAZIAMO DI CUORE! Oggi è un commento veramente speciale: abbiamo chiesto loro di scriverlo  e ho provato a estrarre  le cose che possiamo “meditare” personalmente nel cammino di questa domenica, cercando di sentire, attraverso la loro TESTImonianza, la  presenza del Maestro. 

(In corsivo io scriverò due righe  per dire quanto mi hanno comunicato)

1. “Amo quell’essere riconosciuto nello spezzare il pane.

Ma lo spezzare il pane avviene dopo il lungo cammino insieme…

Ci può essere Comunione – ed il relativo riconoscimento- senza il cammino insieme? Probabilmente no.  Si riconosce non (solo) per il miracolo ma per aver camminato ed ascoltato la Parola, la Sua, lungo il cammino”.

(Camminare e ascoltare: il nome della vita. Ogni passo è una chiamata. Ogni sensazione di vitalità la risposta a un’indicazione significativa. Per noi il volto del Risorto). 

2. “So che sto camminando a fianco di Gesú perchè lo so che è li e mi accompagna, ma io faccio come i due discepoli di Emmaus, non me ne accorgo e continuo ad andare avanti, devo solo trovare la locanda in cui fermarmi e riconoscerlo”.

(Verissimo, ne abbiamo bisogno! Quante persone in questi giorni mi dicono: “quando ci rincontreremo, quando celebreremo di nuovo la Messa?”. É vero, la nostra Chiesa è il luogo fisico ufficiale, ma c’è un’altra “locanda” che portiamo sempre con noi: il nostro cuore. Bello fermarsi ad ascoltare e riconoscere la sua Voce che parla anche lì). 

3. “I due discepoli hanno invitato Gesù a restare con loro. Mi ha fatto pensare che nelle nostre vite Gesù è sempre presente e siamo noi a doverlo “invitare” a stare con noi”.

(Non è che troppo sovente non lo sento in me … proprio per questo motivo? )

4. “A volte le cose (ma anche le persone) che diamo per scontate in realtà sono le più importanti e significative, così come i piccoli gesti a cui non facciamo caso”.

(Coronavirus! Tempo per imparare a riconoscere che, nella vita, contrariamente a come ci educano a credere, nulla è scontato e automatico!)

5. “In questi periodi bui noi non dobbiamo pensare che il Signore non ci stia aiutando ma, sta a noi cercarlo nelle cose che ci rendono più felici così da superare questi momenti”.

(“Bussate, e vi sarà aperto”. Anzi, forse non siamo mica noi a dovere bussare, forse è Lui che bussa a noi! )

6. “Quante volte mi accorgo troppo tardi delle possibilità che mi si presentano e non riesco a goderne appieno. Poi, scatta una scintilla che ti fa ” aprire gli occhi” e ti viene da pensare quanto tu sia stato stupido per non essertene accorto subito!”.

(Il presente ci chiama a vivere, a trovare senso in ogni piccola cosa. I latini dicevano una bellissima cosa: HIC ET NUNC, ossia, QUI E ORA. L’attenzione, le radici, la presenza, sono valori inestimabili).

7. “Il Vangelo mi ha fatto pensare a quello che sta succedendo ora: insomma, tutti pensavano che con la crocifissione di Gesù sarebbe tutto finito, che non ci fosse speranza… ma non è così, non è mai troppo tardi per continuare a sperare in quello che si crede; nel Vangelo, non è mai troppo tardi per credere in Gesù e nella sua parola, per noi ora non è troppo tardi per perdere la speranza”.

(Grazie! San Paolo ce lo dice continuamente: “noi siamo salvati nella Speranza”).

8. “Molto spesso, quando vogliamo raggiungere un obiettivo, ci concentriamo solo sul risultato dando per scontato ciò che facciamo per arrivarci. Questo brano mi ha fatto riflettere su come, a volte, dovremmo fermarci per renderci conto dell’importanza di alcuni valori e atteggiamenti di cui molte volte ci dimentichiamo”.

(Già, la vita non è solo questione di COSA, ma di COME! In quel COME la nostra capacità di raccontarci ed esprimerci attenti e capaci di esprimere la nostra unicità vedendo quanto sta attorno a noi). 

9. “Non dobbiamo credere alla prima cosa che ci viene sotto mano ma bisogna approfondire, studiare, in modo da sapere le cose”. 

(Ogni pianta sta in piedi perchè profondamente radicata nel suo terreno vitale. Non c’è vento che tiene quando si costruisce una casa sulla roccia …. )

10. “Da questo passo, per me, emerge la contrapposizione tra la logica razionale, rappresentata allegoricamente dagli “occhi impediti a riconoscerlo”, che non concepisce la resurrezione di Cristo e perciò fa rassegnare i due discepoli alla sua morte; e il cuore, allegoria della fede, che riconosce Gesù solo sentendolo parlare “Non ardeva in noi il nostro cuore mentre egli conversava”?

Da questo brano voglio desumere l’insegnamento che non sempre la decisione migliore è affidarsi ciecamente alla ragione ma, a volte, è bene concedere parola anche alla nostra anima”.

Mi pare la conclusione più saggia e l’augurio che estendo a tutti quanti leggeranno con riconoscenza  le parole con le quali ci avete fatto riflettere.

Buona domenica, DIAMO PAROLA ALLA NOSTRA ANIMA, grazie di cuore a tutti voi! 

25 APRILE, SABATO …

CONFUSIONE

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Un pensiero:

Svegliati, mio cuore, svegliatevi, arpa e cetra, voglio svegliare l’aurora”.

Stamattina leggevo le parole del salmo 107 e mi veniva una sorta di “nostalgia”: di luce, di chiarezza, di “aurora”. 

Non avete l’impressione  che l’aurora dentro di noi, a volte,  dorma sonni profondi?

E allora mi piace vivere con questo atteggiamento, profondo e pacificato, davanti alla Parola di Dio: “qui posso trovare qualcosa che accenda, mi illumini, mi riscaldi e svegli la mia aurora. Qui  posso trovare la MIA alba!”

Gesù, dopo la Resurrezione nel Sabato santo fa proprio questa operazione: “scende negli inferi”, ossia porta la sua alba nei tramonti di morte, la sua luce nel buio, il suo inizio nella fine. 

Scrive bene Atanasio: “il Signore ha raggiunto tutte le parti della Creazione, affinché ciascuno dappertutto si incontri con la Parola, anche colui che è smarrito nel mondo dei demoni (ossia delle divisioni interne, degli spaesamenti, della mancanza di orientamento)”. 

Marco, di cui oggi ricorre la festa, in fondo dice la stessa cosa: Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Questa Parola è per tutti e vuol essere annuncio buono per ogni creatura. 

Leggevo:  

 L’evangelista non racconta alcun incontro (con il Risorto) , perché questa esperienza non appartiene a un passato di cui è possibile redigere una memoria; appartiene piuttosto al presente di ogni discepolo, di ogni lettore del vangelo. L’incontro con il Risorto non deve essere narrato, perché deve essere vissuto  Come? “Sollecitati ad andare, a cercare; e dobbiamo farlo «in Galilea», che simbolicamente rappresenta l’ordinarietà della nostra vita, la quotidianità del nostro lavoro, delle nostre relazioni e dei nostri affetti, come pure le nostre infermità, i nostri smarrimenti, il nostro bisogno di salvezza, il nostro desiderio di felicità. In quella Galilea, Gesù ha visto degli uomini mentre lavoravano e li ha chiamati alla sequela; ha guarito molti indemoniati e malati; ha incontrato uomini e donne annunciando loro la vicinanza del Regno con la prossimità calda e ospitale della sua umanità. Marco non narra l’incontro con il Risorto. Ci suggerisce come e dove cercarlo, in quale modo farne viva esperienza, ma poi lascia a noi il compito di narrare ciò che abbiamo vissuto. Questo, infatti, è il vero problema della fede: non basta credere che Gesù sia risorto dai morti, occorre incontrarlo vivo e presente nella nostra storia” (Messa e preghiera quotidiana, Dehoniane. Pag. 353).

E ti accorgi allora che il  Vangelo non è solo un annuncio, ma anzitutto una medicina, che cura le ferite aperte e  ridà vita. 

Ora, aldilà della luce e del buio, mi veniva da pensare, alla fine di questi (bellissimi) pensieri: “tutto vero! Ma come si può far capire, trasmettere,  vivere a chi non ha mai sentito pace nel cuore nella propria vita? Come si fa a dare questo annuncio che ti “riallinea” interiormente quando sei costretto a vivere con altre 3 o 4 persone in 40 metri quadrati senza potere mai uscire, quando il massimo dell’espressione culturale è quella che ti viene offerta dalla televisione, quando la domenica è l’unico momento per recuperare le cose che non puoi fare durante la settimana, quando i tuoi figli ti fanno disperare e diventano la tua preoccupazione assoluta, quando ti muore una persona cara e non puoi neanche salutarla, quando hai perso il lavoro e non sai come arrivare alla fine del mese,  quando, quando, quando … ?“ e la lista si allunga, all’infinito. Ognuno di noi sa. 

E ricadi nella tenebra che precedere l’aurora. 

Però pensi anche: se la prosa è troppo dura i poeti non devono più scrivere? Se i panorami sono desolanti non dobbiamo più sognare?  Se le immagini che vedi attorno a te sono desolanti gli occhi non devono più cercare panorami di bellezza? Se la notte sembra invadere tutto bisogna spegnere l’ultima lampadina che rimane a disposizione? Se la morte è vinta, dobbiamo (come dice Pietro) uccidere l’autore della vita? 

Aldilà delle consapevolezze personali e dei traguardi, penso che la Buona Notizia che permane è soltanto una: TU SEI SALVATO!

Anche se non sei degno, anche se non capisci, anche se fa tutto schifo. 

E da lontano, ecco là, ricomincia ad albeggiare … 

 

 

24 APRILE, VENERDI …

QUANDO NON TORNANO I CONTI … 

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «
Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha
cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e,
dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui
da solo.

Un pensiero:

Se c’era una materia scolastica che odiavo era la geometria. Non ci capivo niente, non so se per colpa mia o del professore. Sta di fatto che un giorno sentii dire che esisteva anche una “geometria non euclidea” e la mia rabbia aumentò, perché non solo bisognava fare i salti mortali per avere un sei sfilacciato e “non sai bene come”, ma uno, insomma, poteva anche pensare diversamente da Euclide. Io no!

Chiamala scienza esatta! 

Anche nel Vangelo i conti non tornano mai.

Proviamo a vedere i numeri: duecento denari insufficienti per dare da mangiare alla grande folla, cinque pani e due pesci (quantità di cibo,  commovente, di un bambino che si sente tirato in ballo nella discussione e ci mette del suo), cinquemila uomini affamati, dodici canestri pieni del pane avanzato dai cinque pani d’orzo (e l’evangelista lo ripete, perché tutto è partito di lì!). 

Sembra che Gesù e il bambino si siano messi d’accordo: il Maestro, infatti, sembra volere   mettere alla prova i discepoli perché sapeva quello che stava per compiere!

Leggendo questa pagina ho pensato a un’altra pagina del Vangelo dove Gesù dice: “se non ritornerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli”. 

Qual è la prerogativa di un bambino? Quella di pensare che la fantasia possa oltrepassare la realtà, e giocare su questo pensiero senza nessuna paura di rendersi ridicolo agli occhi dei “realisti” adulti. 

E, sinceramente, mi viene un nodo alla gola pensando a questo bambino che sentendo la discussione di Gesù coi suoi discepoli, si gira, alza gli occhi verso di loro e dice: “io ho questo cibo a disposizione”, magari facendo una smorfia abbagliato dalla luce del sole. 

Divento bambino pure io e gioco di fantasia: 

  • non è che qualcuno, vedendo la spontanea generosità del fantasioso infante si sia sentito interpellato a mettere anche il suo panino a disposizione di altri? Anche la colpa e il suo senso, a volte, può essere istruttiva. 
  • Non è che Gesù, contrariamente a quanto il nostro “immaginario religioso” ci suggerisce, dopo avere preso il pane ,“rese grazie” (mi piace di più “ringraziò”) non al Padre, ma al generoso ometto imberbe (magari facendogli anche l’occhiolino)? 
  • Non è che per credere e sperare ci sta anche una buona dose di … non direi fantasia, ma apertura fiduciosa verso qualcosa o qualcuno che stanno fuori noi? 

E ciò che viene diviso … si moltiplica. 

E ciò che ci pareva sottratto … diventa somma. 

Alla faccia di Pitagora e di Euclide!

Per fortuna non sempre i conti tornano.

 

23 APRILE, GIOVEDI …

LA FIGLIOLA PRODIGA

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, [il comandante e gli inservienti] condussero gli apostoli e li presentarono nel sinedrio; il sommo sacerdote li interrogò dicendo: «Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo».
Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «
Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono».
All’udire queste cose essi si infuriarono e volevano metterli a morte.

Un pensiero: 

Papà e mamma, davanti all’esplosione degli ormoni e della passione della giovane figlia, frequentante l’ultimo anno di liceo,  ingiungono una “punizione” esemplare: rimettersi ad accompagnarli a Messa tutte le domeniche, fino all’inizio dell’Università. Chissà se una buona parola sia in grado di  rimetterle la testa a posto. 

La ragazza, con le spalle al muro, decide di “subire” il comando e inizia, con fare annoiato e passivo, a frequentare la Parrocchia.  Qui viene “colpita” letteralmente dalla frase del Vangelo: “è più facile che un cammello entri nella cruna  di un ago, piuttosto che un ricco entri nel Regno di Dio”    parte una geniale intuizione: “applichiamo! Sono stata mandata in Chiesa, ascolto la Parola, e … la metto in pratica! 

Inizia a leggere la Bibbia, rinuncia al Barbecue domenicale di famiglia, si mette a fare volontariato, e, colpo di genio: ritira tutti i soldi del suo conto, messi da parte per pagare le spese del College e li dona tutti alla sua Chiesa, per i poveri: 48.600 dollari!! 

Reazioni:

  1. I genitori, persone molto ricche e borghesemente ineccepibili, reagiscono “a mani legate”: volevano che la figlia cambiasse “grazie a Dio” … non l’avessero mai fatto!: fa entrare i poveri a casa sua, regala abiti che non  indossano più, regala la tenda e il materiale da campeggio che stava impolverandosi sullo scaffale del garage, regala un mucchio di soldi alla chiesa … e tutto con lo spirito di chi voleva applicare alla lettera il Vangelo, redenta dalla Parola, e per proteggere i suoi cari dalla possibilità di non entrare nel Regno dei cieli. 
  2. Il parroco non restituisce i soldi al padre, che tenta di spiegare al reverendo che la figlia “era uscita di testa” …. Gli risponde che non poteva: erano soldi per i poveri,  la ragazza sarebbe andata in missione in Botswana, le sue scelte erano “sacrosante e intoccabili”… (peccato che alla fine anche  il prete fa una figura assai meschina, perché usa i dollari ricevuti per comperare un altare in prezioso travertino da 50.000 dollari, facendola giustamente infuriare!) 
  3. La ragazza alla fine vince: riflette e fa riflettere tutti. Un abbraccio a papà e mamma, continuare   a “non andare in Chiesa”, e frequentare come volontaria la mensa dei poveri: “qui ci sto bene!” … in compagnia dei due genitori, che ritrovano con lei un nuovo equilibrio e una nuova serenità dietro il banco di distribuzione del cibo. 

Perché scrivo questa storia? 

Perché assomiglia a quella dei discepoli e assomiglia alle nostre. 

– Assomiglia alla storia di Pietro, che è TRASFORMATO DALL’ASCOLTO DI GESÚ, totalmente indifferente alla proibizione di insegnare nel Suo nome da parte del Sommo Sacerdote! Qualche giorno prima lo stesso Pietro, ascoltando la parola della serva nel cortile rinnega, a sette facce, il suo Signore; oggi, ascoltando la Parola e l’esperienza vissuta con il Maestro Risorto, non ha più paura. 

Il Vangelo di Giovanni dice che “chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra!. 

Il linguaggio della terra impaurisce, ostacola, toglie vita, terrorizza e invita a nascondersi. Il linguaggio “che viene dall’alto” oltrepassa, libera, dà vita, rimette in piedi e trasforma i cuori, non agisce per opposizione, ma per completezza:

SI VIVE! Finalmente. 

  • Assomiglia alla nostra storia, raccontando un modo diverso di stare davanti alla Parola. Nel telefilm: I genitori la USANO come nuova strategia pedagogica; la figlia la USA per dare loro una bella lezione; il prete la USA per RIFARE l’altare della Chiesa: un mero artificio rappresentativo che non diventa mai  un’esperienza. Tuttavia la Parola di Dio non è una cosa di cui servirci, bensì un riferimento da “servire”, a un solo scopo: quello di diventare “veri signori” della nostra vita, favorendo, in modo nuovo e definitivo la nostra famosa autorealizzazione e un nuovo inizio per il  nostro cammino!

 Per riflettere:

– Quale (P)parola ispira la mia vita? 

 

22 APRILE, MERCOLEDI …

PRENDERE, GETTARE, PRELEVARE

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, si levò il sommo sacerdote con tutti quelli della sua parte, cioè la setta dei sadducèi, pieni di gelosia, e, presi gli apostoli, li gettarono nella prigione pubblica.
Ma, durante la notte, un angelo del Signore aprì le porte del carcere, li condusse fuori e disse: «Andate e proclamate al popolo, nel tempio, tutte queste parole di vita». Udito questo, entrarono nel tempio sul far del giorno e si misero a insegnare.
Quando arrivò il sommo sacerdote con quelli della sua parte, convocarono il sinedrio, cioè tutto il senato dei figli d’Israele; mandarono quindi a
prelevare gli apostoli nella prigione. Ma gli inservienti, giunti sul posto, non li trovarono nel carcere e tornarono a riferire: «Abbiamo trovato la prigione scrupolosamente sbarrata e le guardie che stavano davanti alle porte, ma, quando abbiamo aperto, non vi abbiamo trovato nessuno».
Udite queste parole, il comandante delle guardie del tempio e i capi dei sacerdoti si domandavano perplessi a loro riguardo che cosa fosse successo. In quel momento arrivò un tale a riferire loro: «Ecco, gli uomini che avete messo in carcere si trovano nel tempio a insegnare al popolo».
Allora il comandante uscì con gli inservienti e li condusse via, ma senza violenza, per timore di essere lapidati dal popolo.

Dal Vangelo secondo Giovanni

“Dio non ha mandato il Figlio per condannare il mondo, ma perchè il mondo si salvi per mezzo di Lui”. … ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce … chi fa la verità viene verso la luce. 

Un pensiero: 

Prendere, gettare, prelevare”: non vi ricorda un po’ un gioco che facevamo da piccoli, che si chiamava “dire, fare, baciare (lettera, testamento)”? 

Si trattava di scegliere una delle cinque dita, che corrispondeva alla prova da fare. 

In realtà, nel libro degli Atti degli Apostoli, a gestire la sorte dei malcapitati apostoli non è il caso di una prova, ma la scelta del “Sommo Sacerdote con tutti quelli della sua parte”.

Sommo sacerdote, che come grande guru comandate del sinedrio e dello spirito, decide di “fare fuori” gli sparuti annunciatori del Risorto prendendoli e gettandoli nella PRIGIONE PUBBLICA. 

Piccolo problema: quando decide di prelevarli, nella prigione … non ci sono più. 

Qualcuno,  nonostante le porte fossero perfettamente chiuse,  li aveva liberati. 

Gli Atti degli Apostoli dicono che si trattava di un Angelo del Signore. 

Che bel messaggio ci danno gli apostoli: c’è un “annuncio” (Angelo) di Dio per la mia vita più forte di ogni Sommo Sacerdote e di ogni prigione pubblica che voglia farmi prigioniero.  

Notare: a dare l’annuncio a noi, non sono gli Angeli, ma gli apostoli liberati dagli Angeli. Perchè non esiste annuncio senza interlocutore. Non esistono miracoli senza collaboratori che … VOGLIONO GUARIRE e USCIRE. 

Ora, possiamo parlare di PRIGIONI PUBBLICHE? Eccome: le paure di vivere, il peso dei giudizi sociali, le mie scissioni interiori non affrontate e non curate, l’indifferenza nei confronti della cura della mia vita, la disperazione priva di appigli … tutti trampolini “sociali” dei “sommi sacerdoti” che ci trattano come burattini, che ci invitano a colmare i nostri vuoti con due semplici gesti: la DISTRAZIONE e il CONSUMO, piccoli dei che contribuiscono a svuotare i nostri cuori riempiendo i portafogli dei “signori” che ci curano con i loro farmaci pubblicitari, anestetici ed estremamente superficiali. 

Non possono sopportare ANNUNCI ALTERNATIVI LIBERANTI coloro che gestiscono PENSIERI A SENSO UNICO IMPRIGIONANTI! 

Insomma, si tratta di GIRARE LO SGUARDO, smettere di affidare il senso delle cose a ombre promettenti per rimetterci nelle mani di una LUCE AFFIDABILE, quella di Dio, quella che ci è venuta a portare Gesù, il quale (e mettiamocelo bene in testa!), non è venuto per condannare, ma perchè il mondo si salvi per mezzo di Lui!

Noi siamo nati per essere liberi, e non per stare in prigione! Solo trasformandoci giorno dopo giorno in consapevolezze di speranza, in forze capaci di donare amore, in legami di fiducia che aprono i cammini insieme a Gesù, capiremo che veramente “alla Sua luce vediamo la luce”, che guardando a Lui diventeremo raggianti, che “trovando rifugio” in Lui diventeremo liberi perchè progressivamente liberati.

Ma, conclude amaramente Giovanni “gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce”!

Oggi potrebbe essere una giornata opportuna, davanti a certe nostre reazioni, amarezze, sconforti, domandarci: “ma io, sto camminando nella luce (che so benissimo cos’è!) oppure nelle tenebre”? 

Altrimenti le porte della prigione continueranno a rimanere chiuse, la Parola di Dio una bella favola e … il mio TESTAMENTO: la storia di un continuo contorcimento pietoso e tristissimo su me stesso! 

Cito nuovamente Sepulveda: “”Non serve a niente una porta chiusa: la tristezza non può uscire e l’allegria non può entrare”

A noi … cominciare a giocare, sul serio! 

MARTEDI 21 APRILE …

TRA CIELO, TERRA E INFINITO … 

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».
Gli replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». Gli rispose Gesù: «
Tu sei maestro di Israele e non conosci queste cose? In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».

La Resurrezione – di Gesù e, possibilmente, la nostra – è il cuore del messaggio del Vangelo, il senso del nostro credere.

Paolo lo dice con grande convinzione nella Prima lettera ai Corinti al cap. 15, quando afferma che se noi non crediamo al Risorto, siamo da “compiangere più di tutti gli uomini”. 

Detto in altro modo: se credere in Dio non ti serve a nascere e ri-nascere continuamente, non serve a nulla la tua sedicente professione di fede in Lui!

Gesù nel Vangelo lo sta dicendo a Nicodemo con grande chiarezza: la fede non è una definizione, ma è una Parola che ti fa vivere, un riferimento che orienta lo sguardo, vento che ti libera da quell’affanno a senso unico che fa morire ogni respiro dentro il tuo cuore. 

Le definizioni escludono, pongono delle barricate, e, paradossalmente sono la porta dell’ignoranza, perché la presunzione di possedere il significato e il senso ti impediscono di continuare la ricerca, di camminare e di vivere. 

Noi diciamo: “Dio non esiste!”, “quello è un deficiente”, “la vita non ha senso”, “sono tutte balle!”, “non capisci niente”, “non è possibile!” … e ci ingabbiamo. 

Per questo Socrate diceva che “chi sa che sa, non sa, e chi sa che non sa, sa!”. Perché nel momento che pensi di sapere (ma questo, oggi, non lo dice neanche il più spietato patetico razionalista del mondo) … non hai più nulla da imparare, e affoghi nel tuo narcisistico laghetto intellettuale. 

Ieri, nel Vangelo, Nicodemo diceva a Gesù: “noi sappiamo che … “. Oggi Gesù gli dice: “Tu che sei maestro di Israele non conosci queste cose?  … ma allora, cos’è che sa Nicodemo? Nulla, a quanto pare, perchè imparare è un’arte nuova e differente: significa continuamente rinascere. 

Questo è il compito del Risorto: la testarda pretesa, mai ritirata, di permettere a chiunque lo sceglie come Maestro e Signore della sua vita, di ritrovare ogni giorno la possibilità di rinascere a partire da Lui e dal suo “Spirito”. 

Anche perchè, inequivocabilmente, noi NASCIAMO SEMPRE DA UNO SPIRITO: lo Spirito della presunzione di sé, lo Spirito Santo, lo spirito che ci spinge ad autodistruggerci, lo spirito della rassegnazione e del ripiegamento sterile su noi stessi, lo spirito del giudizio (che anzitutto, giudica noi stessi) … NOI, VOLENTI O NOLENTI, SIAMO FIGLI DI UNO SPIRITO! 

Quello che dona Gesù è un po’ particolare: è come il vento. Non sai da dove viene e non sai dove va, ma ha una caratteristica: NE SENTI LA VOCE. Ne senti la Parola. 

Si tratta di ri-conoscerla, accoglierla e viver-la. 

Allora nasce il respiro della libertà che ti libera dalla prigione del presunto sapere, che ti definisce e giudica per farti morire. 

Allora nasce il respiro di quella libertà che ti fa capire, molto più sapientemente, che se noi viviamo è perchè siamo stati messi al mondo, è perchè la vita l’abbiamo ricevuta, è perchè l’aria, le forze, la lucidità della testa, ci permettono di continuare a essere, ma non dipendono da te, ci sono SOLO PERCHÈ LE RICEVI! 

Se io ci sono è perchè sono figlio, ed è per questo che Gesù chiama Dio col nome di Padre, perchè nel nome di questo legame cercato e vissuto troviamo la sorgente del nostro essere: FIGLI CHE RICEVONO. 

Proviamo a pensarci, magari, con l’umiltà di riconoscere che la vita e il senso delle cose, per fortuna, CI OLTREPASSANO e perchè … CHIUNQUE CREDE IN LUI ABBIA LA VITA (anche quella eterna). 

Compito: 

Ascoltare, a occhi chiusi: IO RINASCERÓ