LUNEDI 16 MARZO

Il Vangelo di oggi:

«In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Un pensiero … 

Io trovo il Vangelo di oggi imbarazzante: i compaesani di Gesù si arrabbiano talmente con “il figlio di Giuseppe” –  che pensavano di conoscere benissimo – perché faceva i miracoli a Cafarnao e non a Nazareth. Lui, che aveva addirittura il coraggio di citare due episodi nei quali i profeti domestici – non ben accetti in patria – fanno delle guarigioni “all’estero”,  ossia a Sidone e con lo straniero Naaman che veniva dalla Siria!

Si arrabbiano talmente che “lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù” … 

“Che razza di Figlio di Dio è  mai questo, che non trasforma le pietre in pane?”

“Che razza di Figlio di Dio è un “rappresentate” di Dio che non risolve i problemi del mondo?”  

Adesso profetizzo pure io: chissà quanti di noi che pensano di “conoscere Gesù”  si rifaranno la stessa domanda: “che razza di Dio è quello che permette una cosa del genere?” … Non c’è! Chiuso! Giù dalla rupe!   

Eppure il Vangelo oggi si conclude con queste parole: “passando in mezzo a loro, si mise in cammino”. Scivola via. Perché non può essere ospitato da questi pensieri. 

Mi sorge una domanda: non è che Gesù più che cambiare il mondo, vuole anzitutto cambiare il nostro modo di “camminare” nel mondo? 

Mi vengono i brividi a sentire le persone che dicono: “dobbiamo pregare!” (sottointeso, “altrimenti non ne usciamo”) , come se fossero solo questi i momenti nei quali si debba alzare la nostra invocazione al cielo.

 A me puzza tanto di egoismo … di “almeno salva la mia pelle!”  … “poi se ci sono altre centinaia di migliaia di morti non importa, l’importante che mi salvi io” , e loro, non hanno pregato? Con loro Dio non ha fatto nulla? Come quelli che ringraziano per la pace mentre nel paese al confine  c’è la guerra … ma loro non hanno pregato? 

La preghiera non cambia il mondo, può eventualmente, se lo permettiamo, cambiare il nostro modo di CAMMINARE nel mondo. Possiamo dirlo: può CONVERTIRCI (non siamo in Quaresima?).  Può ricominciare a suggerirci che vale ancora la pena ri-pensarci: noi e la nostra storia. Può  sostenerci e suggerirci che nonostante le batoste che ci schiaffeggiano inesorabilmente, il nostro legame con il Salvatore ci può ancora portare fuori dai nostri blocchi; che continuare a sperare e a sapere che non tutto finisce in ciò che finisce ci permette di rialzarci; che riscoprire l’amore come risposta ultima (o prima) da continuare a offrire intorno a noi – con l’estrema fatica che comporta – sia la sola chiave che apre le strade dei nostri cammini. 

E non è poco. 

Anzi, forse, è tutto. 

Per riflettere:

Cosa “attiva” nella mia vita l’ascolto della Parola di Dio?

Quando penso a Dio penso a Gesù o a qualcos’altro/qualcun altro?